Sarebbe andato benissimo per la pubblicità di un famoso dopobarba che andava di moda oltre venti anni fa, quello per l'uomo che non doveva chiedere mai. Ad Artur Boruc la sottile arte della diplomazia proprio non interessa, ancora meno andare d'accordo con i tifosi.
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Boruc, il portiere col trolley che urlava alla Fiesole
Il ritratto di David Guetta sul polacco, che andrà via da Firenze
Tre esempi in rapida successione. Dopo l'ultima di Mihajlovic, la squadra rientrò da Verona al mini centro sportivo accompagnata da una forte contestazione che impediva di fatto ai giocatori di uscire dal cancello. Andato a vuoto il primo tentativo, Arturo il polacco si fece largo a spallate e uscì bello tranquillo con il suo inseparabile trolley. E in effetti tentare di fermarlo non è proprio consigliabile, visti i suoi 89 chili distribuiti (secondo le molte ammiratrici in modo perfetto) sui 193 centimetri di altezza. Qualcosa di simile al dopo Chievo andò in scena all'aeroporto di Cagliari, quando una decina di sostenitori viola incrociò la squadra al rientro. Urla ed esortazioni ad andare a lavorare, tutti con la testa bassa con due sole eccezioni: Natali ed il solito Boruc, che cominciò a guardarsi intorno con aria minacciosa per capire chi fosse l'autore del poco gentile invito. Infine il momento forse di rottura con la Fiesole, a marzo contro il Cesena. Con i viola in vantaggio per due a zero, il portiere ritardò nel finale e in due occasioni il rinvio, preferendo non dare il pallone a Vargas che era partito per un eventuale contropiede. La prima volta ci fu un brusio, la seconda qualche fischio, e a quel punto Boruc si girò polemicamente verso il pubblico e cominciando ad applaudire.
Una cosa da niente in confronto a ciò che fece davanti alla curva dei Rangers in Scozia, quando difendeva la porta del Celtic. Lui, cattolico praticante, talmente devoto da meritarsi l'appellativo di «portiere santo» si fece platealmente il segno della croce davanti a diecimila protestanti. «Sentii alzare dietro a me una specie di ruggito gigantesco — ha raccontato appena arrivato in Italia — e alla polizia ci vollero dieci minuti per riportare la calma. Non mi fanno paura queste cose, temo solo le malattie che mi hanno portato via entrambi i genitori, morti molto giovani».
L'arrivo di Boruc a Firenze fu in pratica propiziato da Prandelli, che voleva stimolare Frey e al tempo stesso assicurarsi una valida alternativa in caso di infortunio del fragile numero uno francese. Detto che tecnicamente non esiste confronto tra i due, e non a caso Mihajlovic fece partire Frey come titolare, è anche giusto ricordare come i suoi due anni in viola siano stati tutto sommato dignitosi, segnati magari da errori enormi, ma anche da ottime prestazioni. Roma e l'Olimpico sono stati gli snodi principali della sua esperienza fiorentina: nel 2010 fece un errore da paperissima mancando il rinvio, un anno e mezzo dopo si è riscattato, ancora contro i giallorossi, con una partita super e l'inaspettata rapa a zero il giorno successivo.
È stato anche schierato qualche volta e con buoni risultati come centravanti in allenamento, quasi fosse la spia di una stagione incredibile senza attaccanti. Non lascerà troppi rimpianti, ma non ne avrà neanche lui, perché quello che ha visto in Italia gli è sempre piaciuto poco. «Il calcio — raccontò nello scorso febbraio con molta convinzione — è un fatto di cuore, bisogna sempre stare vicini alla squadra, soprattutto quando le cose vanno male. Io l'ho sempre fatto con il mio Legia Varsavia e mi sarebbe piaciuto vedere la stessa cosa da parte dei tifosi viola. Mi dispiace se non rimarrò perché Firenze è bellissima, e ho imparato ad amarla, però certe cose davvero non riesco a comprenderle».
David Guetta - Corriere Fiorentino
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