stampa

Bentornato Aquilani, il Calimero azzurro

L‘IMPORTANTE è partecipare, amava ripetere quello snob perditempo del barone De Coubertin (dunque probabilmente un interista). Chissà se la pensa così anche Alberto Aquilani, l’unico viola convocato da Prandelli nella …

Redazione VN

L‘IMPORTANTE è partecipare, amava ripetere quello snob perditempo del barone De Coubertin (dunque probabilmente un interista). Chissà se la pensa così anche Alberto Aquilani, l’unico viola convocato da Prandelli nella fallimentare spedizione brasiliana, detentore di un piccolo record al contrario: è stato l’unico giocatore di movimento dell’Italia a non collezionare neanche 1’ di gioco. L’unico a non essere mai stato preso in considerazione. Un Calimero in maglia azzurra senza nemmeno un guscio d’uovo in testa a renderlo visibile. Perfino Paletta, Parolo e Thiago Motta hanno avuto per qualche istante l’illusione di essere punti fermi di questa Nazionale scombicchierata (Thiago Motta il più fermo di tutti). Lui no: Alberto Aquilani, un Franco Selvaggi del terzo millennio, con la differenza che questi nel 1982 in Spagna senza giocare nemmeno un secondo può oggi raccontare ai nipoti di aver vinto un campionato del mondo, il nostro al massimo di aver visto un giocatore uruguagio incidere sulla partita senza nemmeno segnare. Morsacci loro! Certo, questa Nazionale senza sale ha deluso tutti, compreso lo stesso Suarez di cui sopra (uno che non mastica bene l’italiano, come dicono di lui a Liverpool).

C’ERA la quasi certezza che, se anche Aquilani fosse sceso in campo, le cose non sarebbero cambiate. Per noi, non per lui. Perché fare da tappezzeria, partecipare senza determinare niente, può piacere al pubblico di «Uomini e Donne» e a Filippa Lagerback, la valletta di Fabio Fazio al cui confronto Dino Zoff sembra prolisso. Ma a un calciatore no, perdio. A un calciatore sfangare la pagnotta facendo la Filippa in panca non può piacere. Perché il pallone nel caso è una necessità, un bisogno quasi fisico, restare a guardarlo correre dai margini del campo diventa un supplizio come quello di Tantalo: ogni volta che si avvicinava ai frutti e all’acqua, questi si ritraevano impedendogli per sempre di mangiare e bere. Mitologie dolorose. Così, in attesa di rivedere a Moena Calimero Tantalo Aquilani in un contesto a lui più favorevole, e riaspettando chi invece a questo Mondiale nemmeno c’era andato per altri motivi (Pepito e SuperMario) chi ha il cuore colorato di viola continua a seguire la kermesse brasiliana fra dubbi irrisolti (ma Chiellini, dopo avere fatto il gesto delle manette, si è costituito davvero? Fra i 39.706 spettatori di Italia-Uruguay si devono contare anche Cassano e Balotelli?) e una sola certezza: che il calcio nostrano, nonostante le sconfitte, le polemiche, il nulla atletico e il caos tattico, anche stavolta ha onorato la sua storia. Perdere e dare la colpa agli altri nello stile azzurro è un classico intramontabile.

STEFANO CECCHI - La Nazione