Sta nella storia di quel numero sacro che, da sempre, indica il campione più puro: Sivori, Maradona, Rivera, Pelè, Antognoni, Platini e Zico non potremmo nemmeno immaginarli senza un 10 dietro le spalle. Un po’ come il Duomo di Firenze senza la cupola, la Carrà senza caschetto e Sgarbi senza berci: un’incompiuta. E anche quando il blatterismo ha provato a desacralizzare il calcio, assegnando i numeri come alla «5 Mulini», i campioni veri hanno continuato a pretenderlo a manifesto del proprio talento: Baggio, Totti, Messi e Del Piero. Per questo chi indossa il “10” vien sempre guardato con occhi diversi dai suoi tifosi, che si aspettano la giocata magica, l’ottavina reale. Per questo anche Alberto Aquilani non può sottrarsi alla regola.
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Aquilani e quel 10 ibrido
Sta nella storia di quel numero sacro che, da sempre, indica il campione più puro: Sivori, Maradona, Rivera, Pelè, Antognoni, Platini e Zico non potremmo nemmeno immaginarli senza un 10 …
Arrivato da Firenze via grandi squadre a strisce, ha preteso per sé quello che è il numero atomico del neon e dei comandamenti. Quasi a dire: ho i mezzi atomici per comandare in campo, fidatevi. Più orgoglio che pregiudizio.
Certo: lui è un “10” particolare. Se Montolivo era un 10 geografico per la capacità di mappare il campo, Aquilani potremmo dirlo un 10 ibrido, nel senso che riempie più ruoli senza alla fine definirne uno. Trequartista, mezzala, regista, mediano, perfino seconda punta: tutto sembra confargli e niente specificarlo. Un meraviglioso ibrido da non potersi collocare con nettezza per esaltarsi. Un pregio o un limite? Chissà.
Di sicuro, per come calcia la sfera (la sua palla è sempre tesa e coi giri giusti anche dopo 40 metri) ricorda il più mitico 10 che Firenze abbia avuto. Come il dio mitologico Antognoni, anche Aquilani quando gioca guarda sempre verso l’alto, quasi a non volersi abbassare a commiserare le bassezze umane (pur se a volte molla delle calcagnate che nemmeno Piacentini, Schwarz e Hulk Hogan messi assieme). Più che un “Principino”, come lo chiamavano a Roma per la somiglianza a Giannini, un erede al trono. E di sicuro in campo, quando si accende, ha la capacità di scivolare nelle pieghe della partita e di cambiarne il corso. Qualcuno al riguardo si rammarica del fatto che le accensioni non siano continue, imputando a un’indolenza da ponentino romano certi appisolamenti durante la gara. Maldicenze? Chissà.
L’unica cosa certa è che col numero che Aquilani s’è scelto per vestire il viola, sarà sempre un sorvegliato speciale. E ciò che farà non basterà mai, sollevando dibattiti infiniti e inutili come il Processo del Lunedì. Perché Oliveira e Santiago Silva son stati solo inciampi di stagione come l’influenza e i geloni: chi indossa il10 sotto il cielo di Firenze non può che rappresentare un annuncio di bellezza e una promessa di spettacolo. Il numero sacro che scalda il cuore a chi crede che il calcio sia ancora poesia dell’anima e non business, storia popolare e non cronaca televisiva. Per tutto il resto più che mastercard c’è il blatterismo.
Stefano Cecchi - La Nazione
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