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Aquilani come Antonio: quando Cesare imita Bearzot

Si può provare a rigirarla come si crede, ma certamente c’è rimasto male perché non è davvero bello uscire dopo appena trenta minuti per un cambio tecnico. O tattico, che …

Redazione VN

Si può provare a rigirarla come si crede, ma certamente c'è rimasto male perché non è davvero bello uscire dopo appena trenta minuti per un cambio tecnico. O tattico, che non si sa mai bene cosa voglia dire, tanto la sostanza è sempre quella: non hai soddisfatto l'allenatore. Succede raramente in serie A e ancora meno in campo internazionale, è successo ad Alberto Aquilani con Cesare Prandelli in panchina. A mezzanotte e mezzo (ora italiana) l'ex tecnico della Fiorentina ha detto all'unico viola presente tra i suoi convocati che... «grazie, poteva bastare». Sostituito da Giovinco, che nell'immaginario dei tifosi fiorentini rappresenta la contropartita tecnica da non prendere mai dalla Juve. Peggio di così era sinceramente difficile da studiare.

Si consoli il ventinovenne Alberto, perché in passato a un grande della Fiorentina, anzi al più grande, è andata male come a lui, se non addirittura peggio. Stiamo parlando ovviamente di Giancarlo Antognoni, detentore di un primato quasi imbattibile: nell'anno di grazia 1978 venne sostituito da Bearzot, che pure lo apprezzava moltissimo, ben sei volte. Roba da farsi venire una crisi di nervi, se non fosse stato per il carattere veramente d'oro della bandiera viola, che non entrò mai in polemica con il suo allenatore. Il Giovinco di Antognoni si chiamava Renato Zaccarelli, che non lo valeva minimamente sul piano tecnico e che pure si trovò ad essergli subalterno nel Mondiale argentino del 1978, e in alcuni casi arrivò addirittura a strappargli la maglia da titolare, come nella decisiva semifinale contro l'Olanda. Una staffetta a livello numerico come quella tra Rivera e Mazzola, di cui però non c'è traccia nella storia del calcio italiano per il semplice fatto che a nessuno è mai venuto in mente un paragone tra Giancarlo e la mezzala del Torino.

Certo, il cambio avveniva di solito nell'intervallo, proprio per evitare un'uscita dal campo anticipata che, diciamo la verità, ha un po' il sapore della gogna: è colpa sua se perdiamo, verrebbe da pensare, ora si prova a cambiare. E non è un caso che Prandelli a fine gara si sia quasi scusato con il centrocampista, che come i compagni, non aveva brillato, anche perché impiegato da trequartista (con compiti di copertura da esterno) piuttosto che come con Montella da terzo di centrocampo.

C'è stato comunque chi vestendo la maglia viola è stato più veloce di Aquilani ad abbandonare il campo e non proprio in una partita qualsiasi. Al settimo di Italia-Germania, finale Mundial, Ciccio Graziani cadde slogandosi una spalla e fu costretto ad uscire tra le lacrime e le imprecazioni. Più o meno come Alessandro Gamberini per la prima volta titolare contro la Bulgaria nel settembre 2009: stesso minuto, stessa spalla infortunata, stesse imprecazioni. In questo Aquilani ha dimostrato più classe: ha guardato la panchina per niente convinto ed è andato a fare la doccia in un dignitoso, triste, silenzio.

David Guetta - Corriere Fiorentino