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Antognoni: “I miei sessant’anni”

Dai ricordi più belli alla sua vita attuale, l’Unico 10 si racconta

Redazione VN

Sul Corriere dello Sport-Stadio troviamo un'intervista a Giancarlo Antognoni, ecco i passi salienti.

Capitano sono 60. Come li festeggia?

«Con una festa organizzata in Palazzo Vecchio, sotto la regìa di Matteo Renzi, che mi propose quest’idea quando era ancora Sindaco di Firenze. Poi ci sarà una cena in famiglia».

Prossimo obiettivo: diventare nonno prima dei 70?

«In effetti vorrei diventarlo presto. Per ora Alessandro pensa al lavoro, ha un albergo in centro. Rubinia si è laureata in giurisprudenza, ma vive sempre con noi». (...)

Ha più sentito Vittorio Cecchi Gori?

«Certo che lo sento. L’unica persona di Firenze con cui Vittorio parla ancora oggi sono io».

E’ stato una vittima di quel sistema?

«Lo hanno fregato. E’ stato una vittima, per ingenuità».

Antognoni adesso. Cosa vede nei suoi 60 anni?

«Vorrei migliorare la mia posizione, oggi ho un bel ruolo perché sto in mezzo ai giovani. Però vorrei arrivare un po’ più su».

Pensa a un posto da dirigente della Nazionale?

«Sì, ma finché c’è Gigi Riva quel ruolo è suo. Gigi è un simbolo del calcio italiano».

Dopo il fallimento della Fiorentina, lei disse che la Rondinella aveva storicamente più diritto della nuova Florentia di indossare la maglia viola. Per questa frase lei non fa parte della Fiorentina dei Della Valle.

«Era una battuta, forse presa male. E se quella è una giustificazione, è un po’ poco. Quando incontrai Della Valle gli chiesi un colloquio, non un posto di lavoro. Colloquio che non c’è mai stato. Quel giorno eravamo Diego, Andrea e io. Diego mi disse: “Ho un pensiero per lei per il futuro”. Non li ho più sentiti, né più visti. Sono passati 7 anni».

Ne sono passati 30 da quando lei ha smesso di giocare. Oggi in curva Fiesole ci vanno ragazzi che non l’hanno mai vista in campo, eppure l’amore non è diminuito. C’è una bandiera che sventola con la sua effige e la scritta “Onora il padre”. Perché succede?

«Perché non ho mai tradito». (...)

Veniamo ai personaggi della sua vita. Chi era Pallino Raveggi?

«Era il confidente. Mi ha pure baciato (il giorno dello scontro con Martina, nella respirazione bocca a bocca, ndr). Ero svenuto, però...».

Liedholm.

«Il maestro».

Picchio De Sisti.

«Il compagno e l’allenatore con cui avevo più confidenza».

Bearzot.

«Il padre. Mi ha voluto bene come un figlio visto che mi ha fatto giocare 10 anni in Nazionale quando avevo tutti contro».

Il professor Baccani.

«Lo scienziato e lo psicologo. A quei tempi era un personaggio di altri tempi, ti capiva e ti faceva la battuta sempre. Ogni volta che mi infortunavo, mi affidavo a lui e con le sue parole mi faceva lavorare col sorriso sulle labbra».

Agroppi.

«Croce e delizia per me. Delizia per le battute, ma forse i numeri 10 non gli stavano simpatici. Ha pizzicato anche Baggio per la storia degli orecchini».

La Juve.

«L’avversaria numero 1 da battere».

Il suo compagno diventato amico.

«Moreno Roggi. Ho cominciato con lui e siamo ancora legati».

A quale Fiorentina è più legato?

«A quella di Caso, Roggi e Guerini. Poi alla Fiorentina 81-82 che è andata più vicino allo scudetto e infine a quella dell’83-84, la più bella come gioco».

Il suo gol più bello?

«Quello che mi hanno annullato, contro il Brasile al Mondiale dell’‘82. Era buono e se non l’avessero annullato avrei giocato anche la finale di Madrid».

In che senso?

«Volevo fare un gol a tutti i costi in quel Mondiale e per questo contro la Polonia, in semifinale, mi sono infortunato: avevo deciso di tirare in porta, Matysik ci ha messo il piede e mi sono tagliato il piede».

Ci pensa ancora oggi alla finale non giocata?

«Oggi mi dà più fastidio di allora, perché so quello che ho perso».

A proposito di infortuni: lo scontro del novembre ‘81 fu colpa di Martina?

«Rivedendolo sì, anche se allora l’ho scagionato».

Qual è l’allenatore a cui si sente più legato?

«De Sisti e Mazzone, che mi ha fatto capitano da giovanissimo». (...)

Sessant’anni da festeggiare a Firenze. Il ricordo più vero qual è stato?

«Non posso dire le vittorie. Allora ci metto gli esordi e i ritorni in campo, quando ad aspettarmi c’era uno striscione di 70 metri».

Il ricordo più brutto?

«Per me il calcio è stato ed è tutto bello».