stampa

Amarildo: “Ridatemi i cimeli, sono la mia vita”

L’ex campione viola: “Li prestai al Museo del calcio a Coverciano, ma…”

Redazione VN

«Ridatemi la mia memoria», la voce di Amarildo Tavares da Silveira arriva da Rio de Janeiro e ha un suono amaro. L’ex campione del Brasile e della Fiorentina a giugno compirà 75 anni e ha appena sconfitto un cancro alla laringe. Ha sofferto, resistito grazie all’aiuto della famiglia, poi è tornato a lavorare, come ambasciatore, per il Botafogo e per l’organizzazione dei Mondiali. Pure nei periodi più bui, però, non ha mai dimenticato il dolore più grande. «Sedici anni fa — racconta a La Gazzetta dello Sport — ho prestato al Museo del calcio di Coverciano alcuni ricordi della mia carriera. Servivano per una mostra e io, fidandomi di Fino Fini, direttore del Museo del Calcio, che conoscevo personalmente, ho concesso i miei cimeli più importanti. Non li ho più rivisti».

Il figlio Rildo, ex calciatore nelle giovanili della Fiorentina, lo aiuta nella ricerca. «Fui io a consegnare quegli oggetti nel luglio 1998 — ricorda — fino al 2009 sono stato più volte a reclamarli. Dal 2009 lo facciamo da qui, senza ottenere risposte. Si tratta della tuta della nazionale brasiliana campione del Mondo 1962 e della maglia viola numero 11 indossata da mio padre contro il Varese nell’ultima partita del campionato 1968-69, quello dello scudetto. Per noi sono cose preziose, chiederemo i danni». A Coverciano nessuno le trova, come se non fossero mai esistite. «Aiutatemi a ritrovarle — chiede Amarildo — rappresentano la mia vita. Nel 1962 ai Mondiali giocai al posto di Pelé, con Garrincha fui il grande protagonista. Senza quel Mondiale non sarei venuto in Italia, non avrei giocato a Firenze né avrei mai avuto questa splendida famiglia (è sposato con Fiamma, fiorentina, e oltre a Rildo ha due figlie). Quelle cose rappresentano tutta la mia vita, in campo e fuori. Le avevo date come pegno d’amore a mia moglie il giorno del matrimonio. Prestandole al museo di Coverciano ho fatto l’errore più grande della mia vita».