I più diffidenti cominciarono a sospettare qualcosa durante la puntata del Processo del Lunedì in cui veniva annunciato il prossimo arrivo in bianconero di Michel Platini. All’epoca la trasmissione faceva dieci milioni di telespettatori ed era la massima tribuna calcistica possibile. I presenti in studio erano tutti d’accordo: «La Juventus ha preso l’asso che le permetterà finalmente di vincere la sua prima Coppa dei Campioni». Un momento.
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16 maggio 1982, il quarto d’ora della beffa. L’articolo di David Guetta
L'articolo di David Guetta sul Corriere Fiorentino
Il quel lunedì di fine aprile la classifica parlava chiaro: in testa al campionato c’erano appaiate da mesi la Fiorentina e la squadra di Trapattoni, com’è possibile che Platini vinca il massimo alloro europeo se non è assolutamente detto che ci partecipi? E questo è un indizio, il primo. Il secondo arrivò un paio di settimane più tardi, al momento delle designazioni arbitrali per le due partite che avrebbero deciso a chi sarebbe andato lo scudetto 1981/82. Tutti si aspettavano che a Cagliari e Catanzaro venissero mandati i due principi del fischietto, Casarin e Agnolin, cioè i più bravi. Vennero invece designati a sorpresa Pieri per la Calabria e Mattei per la Sardegna. Scelte piuttosto curiose, e all’allora patron viola Conte Pontello che obiettava qualcosa venne risposto che con Mattei in campo la Fiorentina aveva sempre vinto. Come se giocasse la statistica… Terzo indizio, lo spareggio. Che sarebbe probabilmente stato l’epilogo più giusto di una stagione appassionante, ma che faceva paura a tutti, in particolar modo a Bearzot e alla Federazione che stava raccogliendo i cocci post calcio-scommesse e che aveva bisogno di un Mundial spagnolo giocato alla grande. E come fai a prepararti al meglio se undici giocatori su ventidue ti arrivano stremati da una partita che vale lo scudetto? Come li recuperi fisicamente e mentalmente?
Molto meglio la conclusione naturale del campionato, il 16 maggio. E in quel giorno di caldissima primavera finì l’età dell’innocenza della Firenze calcistica, cioè l’intera città, che diventò improvvisamente adulta e per sempre anti-juventina. Perché hai un bel dire che «è meglio secondi che ladri», ma uno sfregio così non lo dimentichi più. E infatti se ne parla ancora oggi con lo stesso dolore, a trentaquattro anni di distanza. In quella settimana di preparazione e di passione alla gara di Cagliari però ancora nessuno sapeva di andare incontro alla più cocente tra le delusioni. «Coloreremo il mare di viola», era lo slogan più gettonato tra i tifosi. Ed era vero, perché di aerei per la Sardegna ce n’erano davvero pochi e grande parte del popolo viola partì in traghetto. Diecimila persone, quasi il 3% degli abitanti, in pratica un esodo biblico alla ricerca della felicità pallonara. La Fiorentina sbagliò completamente l’approccio alla partita della vita, a cominciare dall’albergo.
Venne infatti scelto l’hotel Mediterraneo in pieno centro di Cagliari ed il passa parola corse velocemente tra i sostenitori sardi. La squadra era allenata dall’ex tecnico viola Paolo Carosi e con una sconfitta sarebbe finita certamente in serie B. Per loro, come per i viola, era uno spareggio, al contrario del Catanzaro di Claudio Ranieri, già salvo da diverse settimane. Per tutta la notte nei pressi del Mediterraneo ci furono cori e trombette in una sorta di assordante staffetta acustica che disturbò molto il sonno di Antognoni e compagni e che i compiacenti vigili urbani cagliaritani si guardarono bene di interrompere. Come se non bastasse, la domenica mattina arrivarono dal mare pure le truppe viola che cominciarono ad acclamare i giocatori sotto le finestre. Un improvvido Massaro si affacciò tenendo un piccolo minicomizio in cui affermava di essere certo dello scudetto. Il più prudente Giovanni Galli si limitò ad un frettoloso saluto con la faccia insaponata dalla schiuma da barba.
Faceva un caldo estivo a Cagliari quel giorno e la partita era alle 16, il tempo dell’attesa fu crudele per tutti, giocatori compresi. La maggior parte venne colta da un’improvvisa ansia da prestazione che si trasformò in una sorta di impotenza calcistica. Mancava Eraldo Pecci, fermo da quasi un mese, il cervello del centrocampo, il portavoce di De Sisti in campo e la squadra sembrava da metà classifica, altro che scudetto. Tal Osellame invece si incollò ad Antognoni senza lasciare al capitano la possibilità di accendere la manovra. I giocatori viola erano tutti paralizzati e troppo attaccati alla radiolina che il secondo portiere Paradisi ascoltava in panchina: che faceva la Juve?
Pareggiava come la Fiorentina, giocando pure maluccio, come la Fiorentina. Dopo sessanta minuti senza neppure uno straccio di occasione da gol, al quarto d’ora della ripresa, il fattaccio: calcio d’angolo di Antognoni (che in quell’anno aveva rischiato la vita per il terribile scontro aereo con il portiere genoano Martina), il portiere Corti che non la prende finendo addosso a Daniel Bertoni, Ciccio Graziani che la mette dentro. In quel momento i viola sono Campioni d’Italia, ma il signor Mattei annulla per fallo (inesistente) sul portiere. Qualche anno dopo si sarebbe detto per fallo di confusione, tanto per (non) giustificare una decisione molto contestabile. Mancavano ancora trenta minuti al termine della partita, ma nonostante gli ingressi di Monelli e Sacchetti, non successe niente. A Cagliari. Perché intanto a Catanzaro, ad un quarto d’ora dal termine, la Juve del Trap era andata in vantaggio su rigore segnato dal defenestrato Liam Brady.
«Il solito rigore a loro», pensarono furenti tutti i tifosi viola. Ma avevano torto. Perché il fallo di mano sulla linea di porta su un tiro a colpo sicuro di Pierino Fanna era netto e il penalty, dunque, giusto. Peccato che nel primo tempo ci fosse stata una gomitata in piena area bianconera di Brio a Borghi ignorata da Pieri, ma quello venne visto solo a «Novantesimo minuto». Il ritorno dal Sant’Elia con Cagliari in festa per la raggiunta salvezza fu quanto di più triste si possa immaginare nello sport e forse anche di più. La Fiorentina era arrivata ad un quarto d’ora dallo scudetto, o almeno dallo spareggio, ed era stata beffata. Dalla Juventus, quella che sarebbe diventata, per sempre, l’acerrima rivale di ogni tifoso della Fiorentina. Esiste un modo più crudele per uccidere un sogno?
David Guetta - Corriere Fiorentino
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