La valigia di Sousa è sempre pronta. Lo dice la storia, non la malizia. Il viaggio lo ha sempre portato distante dalla sua Viseu. Paulo, con la divisa da allenatore, ha mostrato la sua vocazione cosmopolita in molte sfaccettature. Un approccio mordi e fuggi, un po' come il turismo contemporaneo. Un anno, massimo altri sei mesi su una panchina e poi via a cercare fortuna altrove, quando non è stato esonerato. L'ambizione sfrenata tira il suo carro insieme al desiderio, quasi un'educata pretesa, di dover essere considerato qualcosa più di un allenatore. E questo può non piacere proprio a tutte le proprietà.
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Sousa, i divorzi e i tormentoni che ritornano: viaggio nei suoi tanti addii
Viaggio a ritroso nella carriera di Sousa: mai la stessa panchina per più di 18 mesi. Motivi familiari e dissidi sul mercato, ecco tutti i motivi degli addii...
I primi passi incerti tra esoneri e fughe - Il primo divorzio, dopo l'esperienza con la federazione portoghese, si è consumato ai tempi del QPR nel 2009. Gli uomini mercato di Flavio Briatore cedettero in prestito il bomber Blackstock al Nottingham Forest e apriti cielo. Sousa in sala stampa, criticando questa operazione, divulgò "informazioni riservate" che gli valsero il benservito. Male di poco, la proverbiale seconda opportunità gliela diede poi lo Swansea. In Galles è rimasto poco più di un anno e, in quel caso, ad essere messi in discussione furono anche i suoi metodi di allenamento. "Con Paulo Sousa nemmeno si suda" raccontò la bandiera della squadra Garry Monk. Dopo un mesto decimo posto in seconda divisione, risultato che comunque mancava da tempo, arrivò la chiamata del Leicester. "Fu un errore lasciare lo Swansea, col senno di poi lo posso ammettere. In quel momento andare al Leicester mi sembrava l'opportunità migliore della mia carriera. Tutti facciamo degli errori". Chapeau. Quest'ammissione di Paulo arrivò ai tempi del Maccabi. Mica tutti si possono guardare allo specchio senza temere che spuntino fantasmi dal passato. Uno sbaglio quello lo fu davvero, a conti fatti. Poche gare e l'allontanamento che il portoghese digerì male: "Mi sorprende la scelta del club, avevano dichiarato di voler fare un lungo percorso insieme". Ed è qui che la carriera di Sousa subisce il primo stop.
La rincorsa per arrivare più lontano - Nella primavera del 2011 il nostro protagonista manifesta tutta la sua ambizione che non si arrende davanti a nessun ostacolo. Dall'Ungheria arrivano le avances del Videoton; Paulo fa un passo indietro, utile poi per correre veloce verso palcoscenici più nobili, e si rimette in gioco in un calcio di serie b. Alla prima stagione consegue un secondo posto, poi dopo altri sei mesi arriva una nuova rottura. Questa volta alla base di tutto ci sono motivi familiari. Il club capisce e, incensandolo pubblicamente, accontenta il suo ormai ex condottiero. I buoni risultati gli valgono l'arrivo sulla panchina del Maccabi Tel Aviv. Un altro anno, culminato con la vittoria del titolo, e via andare. Nel frattempo, il percorso in crescita, gli valse anche la nomina di papabile Ct dell'Ungheria dopo le dimissioni di Sandor Egervari nell'ottobre 2013 ma non se ne fece nulla. "Non ho avuto nessun problema ad andare ad allenare in campionati meno noti. Credo che avere successo sia importante per creare un clima positivo e migliorare i propri metodi e l'approccio al lavoro" raccontò un paio di anni dopo.
La svolta nell'Europa che conta - Se è vero che il lavoro paga, con l'atteggiamento da formichina che accumula e si arricchisce, Sousa raggiunge la panchina del Basilea, club egemone nel campionato nazionale che in campo europeo ottiene alterne fortune. Paulo vince il titolo, arriva agli ottavi di Champions e perde malamente in Coppa di Svizzera per 3-0 contro il Sion. Proprio all'indomani di questa bruciante sconfitta, quando ormai si parlava di lui come erede designato di Montella, dichiarò: "La Fiorentina? Le voci in questo mestiere sono normali. Non ho mai promesso nulla, penso solo a fare bene giorno per giorno". Vi dicono qualcosa queste parole? Può darsi, come diversi passaggi all'interno di questo racconto si sono già verificati nella storia del tecnico alla Fiorentina. Situazioni, forse contingenti, che sembrano destinate a potersi ripetere. L'ambizione sfrenata talvolta gli ha annebbiato la vista senza compromettere però il suo percorso. La storia insegna, sempre. Alla fine della stagione starà a Paulo, se lo vorrà, trarne insegnamento.
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