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Questione di identità

La Fiorentina sta ritrovando la propria cultura calcistica: e lo fa ripartendo dai figli, di Firenze

Giacomo Brunetti

L'incoscienza dei bambini è una materia indecifrabile: la sua bellezza risiede probabilmente nella purezza dell'essere spontanei, senza vincoli o sovrastrutture. I bambini sanno essere un'arma forte ma pacifica, capace di farci rendere conto di quella che è la vera realtà. A Firenze è bastato un disegno - tra chi lo potrebbe giudicare errato e chi invece lo reputa calzante - per tornare a comprendere che alcuni valori, trapiantati nel calcio, valgono più di mille giocate. Un Chiesa invece di una chiesa, che differenza fa? Molta, potrebbe dirci la maestra. Ma che mondo sarebbe senza fantasia? Certamente lo saprà anche lei e noi, in cuor nostro, siamo certi che l'eco mediatica del disegno prodotto dal piccolo Vittorio sia la giusta riconoscenza per la sua opera.

Per un attimo, sono bastati pochi tocchi di una matita spuntata, o almeno noi ce la immaginiamo così, per ricordarci che il pallone si riflette anche fuori dal campo, dove l'identità si mischia ai sogni: migliaia di maglie viola affollano ogni domenica il "Franchi", ma le più vendute rimangono quelle di quei giocatori che riusciamo a sentir "nostri". Lo hanno raccontatato i commessi dei Viola Store, lo ha riportato il Corriere Fiorentino: "Ultimamente il 40% delle magliette vendute sono le sue, non ce l’aspettavamo. Stampiamo soprattutto la versione baby, quella proprio per i più piccoli. Tra queste arriviamo al 50% con il nome di Chiesa", segno che qualcosa sta cambiando.

E' un discorso molto frequente dalle parti di Viale Fanti: "Preferisco vedere un ragazzo dei nostri che comprare un giocatore senza qualità". Sousa, molto probabilmente, sarà d'accordo. Così come la dirigenza viola, inorgoglita dai talenti che stanno assaporando l'aria del calcio degli adulti, perché dal "Bozzi" al "Franchi" in linea d'aria sono solo pochi chilometri. È il tragitto ad essere tortuoso, alleggerito però dal sogno di calpestare quell'erba che riflette il viola, quello di Firenze.

Siamo certi che il piccolo Vittorio, prima di incontrare Chiesa, abbia ripensato a quel disegno, inconsapevole di averlo fatto apposta: d'altronde che ne sapeva lui, voleva solo imparare l'Italiano - non Vincenzo, il calciatore, ma a questo punto è d'obbligo chiarire - riflettendo quell'identità che dai più piccoli ai più anziani si sta diffondendo tra i tifosi. Lo ha incontrato ieri Federico, così come avrebbero fatto più tardi altri spensierati come lui, senza sapere che in fondo anche il suo idolo è rimasto un po' bambino: "Sto vivendo un sogno che non avrei mai potuto immaginare", tra ambizione ed incanto.

Vederli scendere in campo insieme, i due Federico, lascia sempre quel tocco magico ai novanta minuti perché, nel bene o nel male, ci sentiremo diversi nel criticarli: ogni appunto costruttivo è sempre il benvenuto, ma con loro è diverso, sono come figli per questa città. Poi chi glielo racconta al babbo che il piccolo si è comportato male. Non solo loro, sono "fiorentini acquisiti" anche Borja Valero e Kalinic che, in attesa dell'estate, ha detto "no" al Sol Levante perché il tramonto sul Piazzale non ha rivali.

"Andavamo allo stadio solo per vedere Antognoni, anche quando la squadra andava male", mi ha detto una donna un giorno. Bastano due scarpette per innamorarsi, per creare l'entusiasmo nonostante tutto intorno ci sia solamente il buio. Ed in ogni parte della città spunta un "Bernardeschi", con il Dieci sulla maglia e la convinzione di voler seguire il proprio idolo in modo disilluso e suggestivo. Ripartendo da un'idendità comune.

Sono i primi passi della nuova cultura calcistica viola, quella fatta dai Chiesa e dai Bernardeschi, da chi a piccoli passi cerca di procurarsi il futuro guadagnandosi il presente. Esultano con i tifosi, si prendono per mano la squadra: proprio come Firenze chiede, proprio come Firenze è abituata. In fondo anche loro, una volta, erano bambini.

Immagini scattate da Laura Frasson di

Neroquette - Reportage Photography -

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