Battere la Juventus, oggi pomeriggio, può cambiare il campionato della Fiorentina (lo statistico Roberto Vinciguerra docet). Firenze intanto, Manuel Pasqual lo sa, è servita a cambiarlo. Questa città, dove ha vissuto gli ultimi 8 anni, l'ha fatto maturare, lo ha reso padre due volte, «di Nicolò e Aurora», e ne ha fatto l'ultima bandiera della Fiorentina. Il capitano Pasqual, classe 1982, "razza Piave", nato a San Donà e cresciuto nella squadra dell'oratorio del suo paese, Musile, prima di partire da «emigrante al contrario», destinazione Reggio Calabria. «Avevo 14 anni quando ho lasciato casa. Dal Veneto andammo alla Reggina in nove. Mai più rivisto uno spirito d'accoglienza come quello della gente di Reggio. Nessuno di noi guidava la macchina ed era tutto un autostop dal campo d'allenamento al lungomare, fantastico». Formidabili quegli anni in cui, la selezione dei talenti, a Nord come a Sud, era spietata.
news viola
Pasqual: “La mia Nazionale adesso ha la maglia viola”
L’intervista completa del capitano gigliato a “L’Avvenire”
«Di quei nove alla fine solo in due siamo rimasti nel professionismo, io e l'attaccante Stefano Dall'Acqua». Due destini che si separano presto per risalire in quel NordEst da dove erano partiti. «A 19 anni vado in prestito al Treviso del presidente Setten. Gioco, ma il campionato in cui divento protagonista lo disputo all'Arezzo». Una stagione da favola, quella 2003-2004. I toscani retrocessi in C2 vengono ripescati in C1 e centrano una clamorosa promozione in B. «L'anno dopo retrocediamo di nuovo, ma per me arriva l'occasione della vita, la Fiorentina». Da Firenze lo chiamano per sostituire Giorgio Chiellini, l'illustre ex assente della sfida odierna. L'impatto nel calcio che conta è dirompente. Il giovane Manuel che sognava di emulare il suo idolo, «era e resta Paolo Maldini», strappa subito il posto da titolare al veterano Pancaro.
Difende e sfreccia sulla corsia di sinistra e da lì pennella cross al millimetro per la macchina da gol Luca Toni. Stagione da incorniciare con la convocazione di Marcello Lippi che stava allestendo la futura Nazionale campione del mondo di Germania 2006. «Alla fine scelse Grosso e Zambrotta. È andata così...», dice con un pizzico di rimpianto. Ma l'amarezza maggiore resta la fine del rapporto con il suo allenatore, Cesare Prandelli. «È stato il primo a credere in me, ma anche il primo a smettere di farlo. Al sabato mi presentavo puntuale all'allenamento di rifinitura, ma al momento delle convocazioni il mio nome non figurava mai. Per sei mesi sono rimasto a guardare la Fiorentina dalla tribuna del Franchi e con la mia macchina seguivo la squadra anche in trasferta...».
Resistenza esemplare e segnali da futuro leader, con tanto di fascia da capitano, ma questo solo una volta che Prandelli ha lasciato la Fiorentina per stabilirsi a casa azzurri, nella vicina Coverciano. Ora è al top e le sue prestazioni eccellenti - per vox populi - sarebbero meritevoli di una nuova chance in Nazionale. «Non credo che Prandelli la pensi così. Con Pazzini ruppe e poi lo ha chiamato? Sì, ma una volta sola, poi basta. Comunque la mia Nazionale adesso ha la maglia viola e il mio sogno è chiudere la carriera qui, a Firenze». Parole d'amore, per la città e la Fiorentina, mai di circostanza, ma da capitano coraggioso che non deve certo conquistare la tifoseria. «Il pubblico viola trasmette una passione straordinaria, ha solo il difetto di scivolare facilmente dalla depressione, come dopo le sconfitte in serie di gennaio, all'eccesso di euforia che ci ha accompagnati dall'inizio di stagione fino a un mese fa, quando della Fiorentina non si faceva che dire che giocava il calcio più bello in assoluto e che "magnifica creatura" avesse creato Montella». Una creatura che è tornata a marciare e alla quale ora manca l'accelerazione finale: la vittoria allo Juventus Stadium. «Comunque vada a Torino, io posso dire che con Montella si respira lo stesso clima del primo periodo della gestione Prandelli. Il merito dell'allenatore è di aver ridato equilibrio a un gruppo che cresce e con 18 giocatori nuovi che si sono inseriti tutti in maniera sorprendentemente veloce».
Della vecchia guardia è rimasto solo lui e il bomber di ritorno, Luca Toni. «Luca è un ragazzo di una generosità unica. Nel 2006 quando vinse la "Scarpa d'Oro" (31 gol segnati), per riconoscenza aveva promesso un orologio a me e a tutti i compagni. Finiti i Mondiali, si presenta in ritiro con una quarantina di orologi... Eccolo qua - mostra il polso - non me lo sono più tolto». Riconoscenza e amicizia sincera, rarità nel mondo del calcio dove in tanti anni Pasqual ha incrociato una sola "mosca bianca": «Martin Jørgensen, l'uomo più intelligente e completo che abbia conosciuto, il compagno che vorrei sempre nella mia squadra ideale». Oltre alla Fiorentina, le sue squadre ideali sono quelle dei più piccoli, i bambini. «Sono i più indifesi e per questo con la società siamo da tempo in prima linea nei progetti di "Save the Children", mentre con mia moglie collaboriamo con "Sos Bambini onlus" per le adozioni a distanza». Appena smette di correre sulla fascia, Pasqual va sempre in soccorso degli altri. Come quest'estate, quando con gli amici di una vita, «nessuno fa il calciatore», è andato a portare conforto ai terremotati dell'Emilia, organizzando una partita con i ragazzi di San Felice sul Panaro. Una delle tante iniziative solidali per cui il capitano viola scatta veloce, ma delle quali preferisce tacere, fedele al motto di un grande campione fiorentino come Gino Bartali: «Il bene va fatto, ma non va detto. Questo rientra nel senso di responsabilità che nel calcio devi dimostrare dando l'esempio nelle piccole cose di tutti i giorni, come arrivare puntuale agli allenamenti e metterti al servizio della squadra. Oggi molti ragazzi questo spirito non ce l'hanno e non capiscono invece che è da certi piccoli particolari che poi si vede il campione».
MASSIMILIANO CASTELLANI [L'AVVENIRE]
© RIPRODUZIONE RISERVATA