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Ma Gomez non è un Tanque alla senape

Il bomber smarrito alla ricerca della gioia personale: l’articolo di Stefano Cecchi

Redazione VN

Nei suoi gol razzianti leggevi il furore sacro del Nibelungo che cerca l'anello, la prepotenza predatoria del vichingo. Calcio ed epopea nordica. E ora? Ora che tutto ciò è un ricordo sbiadito nelle brume distanti della Bundesliga e lui, più che un Sigfrido arrivato da lontano «per combattere contro i Golia nostrani ad armi pari» (lo disse Pradé il giorno del suo arrivo a Firenze) sembra un Tanque Silva alla senape, verrebbe quasi voglia di abbandonarsi alla sconforto. Di arrendersi all'ipotesi malinconica di un nuovo caso-Socrates trent'anni dopo, il campione acclamato in patria che, per sortilegio, all'estero si trasforma in paracarro. Ma sarebbe un errore. Perchè i paracarri mica fanno 188 gol in 355 partite fra club e nazionale.

No: questi sono numeri che solo chi nasce bomber-dentro può raggiungere. Di chi ha lo specchio della porta tatuato nel dna. E i bomber-dentro come Mario Gomez possono pure, per inciampo o malasorte, smarrire momentaneamente la via gol. Ma poi son destinati per forza a ritrovarla. Un po' come le poesie imparate a memoria alle elementari: la donzelleta vien dalla campagna / in sul calar del sol... le puoi dimenticare per qualche tempo ma prima o poi ti riesplodono in testa e la loro metrica cantilenante non ti abbandona più. Per la vita.

Mario Gomez dunque, il centravanti smarrito. «Troverai più nei boschi che nei libri», insegnava un saggio tedesco del '500. E lui, il modo per far lievitare il senso del gol l'ha sempre trovato nelle brughiere delle aree di rigore, fra gli arbusti delle difese avversarie, mica sui manuali di Coverciano. Certo, la fisiognomica potrebbe ingannare, visto che per lineamenti lo diresti un bomber alla Batistuta col parrucchiere di Vannino Chiti. In realtà il nostro è un Inzaghi col fisico del David di Michelangelo. Un predatore d'area spietato nel tap-in e nel gol sotto misura ma incapace del dribbling o della bomba da fuori, come invece era maestro il Bati. Per questo, se la rete non corona la partita, la sua prestazione non riempie l'occhio. Apre la porta a dubbi leciti e poco confortanti. Ma proprio per il numero roboante dei gol già realizzati, 188 appunto, la pazienza nell'attenderlo non sembra sprecata. Quella pazienza, è vero, che di solito non si riserva ai terzini e ai mediani. Ma i centravanti sono altro. I centravanti sono straordinari acceleratori di utopie, uomini di calcio capaci di agguantare in area palloni che sembrano senza futuro e che solo loro, come per incanto, sanno trasformare in gol.

Per questo, quando oggi sbucherà dal tunnel con quel volto scolpito da eroe d'Olimpia in posa per una pellicola di Leni Riefenstahl, troverà ad accoglierlo un nuovo applauso. E lui, Mario Gomez, il centravanti smarrito, l'ipotetico Calloni ai crauti, c'è da giurarci che come Sigfrido, l'eroe senza macchia e senza paura, farà di tutto per spezzare il sortilegio malvagio che lo allontana dal gol. Per poi intercettare nuovi sogni di gloria sotto il cielo struggente di Toscana. Sembra poesia, ma anche il calcio spesso lo è.

Stefano Cecchi - La Nazione