A seguire vi proponiamo la prima parte della lunga intervista rilasciata dal centrocampista viola Mario Suarez ai microfoni di Marca:
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M. Suarez: “Mi sono dovuto adattare ma ora sto alla grande”
"A Firenze giochiamo un calcio diverso rispetto a quello a cui ero abituato. Mai pensato di aver sbagliato scelta"
Come stai vivendo l'avventura a Firenze?
"Sono molto felice, tutto sta andando molto bene. La città è incredibile e sia i compagni di squadra che i tifosi mi hanno riservato una grande accoglienza. Ho passato un periodo di adattamento, ma il bilancio è positivo".
Come cambia il gioco dalla Spagna all'Italia? In cosa ti sei dovuto adattare?
"Sono tipi di calcio diversi. Quando qua si gioca fuori casa, capita di giocare in campi secchi, alti e duri... e l'avversario si chiude sempre in difesa. Inoltre, il tipo di gioco che sviluppiamo a Firenze è completamente diverso rispetto a quello a cui ero abituato ai tempi dell'Atletico. La Fiorentina gioca la palla prendendo sempre l'iniziativa, mentre con l'Atletico ci difendevamo e andavamo velocemente in contropiede. Entrambi i tipi di calcio sono validi, ma diversi. Per questo mi sono dovuto adattare. Ora mi trovo alla grande".
La sua quinta squadra, quindi è un'abitudine per te cambiare città e club.
"La cosa più facile sarebbe stata quella di rimanere all'Atletico, che è il posto che sento come casa mia. E' la squadra della mia vita, ma era il momento di provare un'altra avventura. E' la prima volta che vado a giocare fuori dalla Spagna, un'esperienza completamente diversa. E' cambiato tutto: dalla lingua agli orari, fino ai colleghi. E' tutto nuovo".
Cosa ha pagato di più?
"L'adattamento a livello sportivo, mentre ho pagato poco quello sul lato famigliare e degli amici. mi sento molto bene. Uno dei motivi che mi hanno spinto a venire qua è la presenza di giocatori spagnoli. Ho parlato con loro, soprattutto con Borja, con il quale avevo già giocato, e mi hanno detto che erano felici a Firenze".
Gli spagnoli a Firenze hanno reso il passaggio meno duro.
"Sì, certo. Ero venuto qui a trascorrere l'estate con Borja prima di firmare con la Fiorentina, è stato in quel periodo che mi ha consigliato di trasferirmi a Firenze. Mi ha parlato molto bene del club e della città".
Però non sono state tutte rose e fiori. In un primo momento hai fatto fatica a giocare.
"Sì, l'avventura è iniziata un po' male perché nella prima partita, che avrei dovuto giocare da titolare, sono stato frenato dall'incertezza o meno della sanzione rimediata durante la Coppa di Spagna della scorsa stagione. Non sapevo se avrei giocato fino a due ore prima della partita, per cui il tecnico aveva già deciso di schierare titolare un altro giocatore. Poi ho giocato a Torino e la squadra ha perso, così sono tornato in panchina, ma ora è tutto a posto e sono felice".
Hai mai pensato che fosse stato uno sbaglio firmare per la Fiorentina?
"No. Sapevo che era giunto il momento di lasciare l'Atletico. Avere la certezza di compiere questo passo per allontanarsi da un club che si desidera così tanto, ti rende le cose molto più chiare.
Il turnover coinvolge di più i giocatori di una squadra?
"Tutti i giocatori vogliono giocare sempre, ma alla Fiorentina ci sono altri giocatori che ricoprono il mio stesso ruolo. Ognuno deve dimostrare di meritarsi il posto da titolare. Così si diventa leader in Italia e in Europa".
Con quale gioco ti trovi meglio? Con quello della Fiorentina o quello che avevi all'Atletico Madrid?
"Sono due giochi completamente diversi. Nell'Atletico Madrid, probabilmente, ero più statico. Alla Fiorentina mi muovo di più e infatti spesso arrivo anche nell'area avversaria. In Spagna toccavo la palla 30 o 40 volte, in Italia 90. E' bello essere un giocatore versatile".
Ti manca qualcosa dell'Atletica Madrid?
"Mi manca tutto. I fisioterapisti, il personale della squadra, gli amici, lo stadio Calderon, la Champions League. Ho deciso, però, di lasciare la squadra della mia vita e non torno indietro. Ora sono felice, a Firenze mi sento a casa".
Il suo addio all'Atletico Madrid è stato molto eccitante.
"Sì, molto. C'era la mia famiglia. Ma dopo aver realizzato i miei sogni e vinto trofei avevo bisogno di altre sfide, nuovi stimoli. Non ho lasciato l'Atletico a gennaio perché l'allenatore non mi lasciò andar via. Forse è per questo motivo che negli ultimi mesi abbiamo avuto delle divergenze".
Come descriveresti il tuo rapporto con Simeone?
"Il nostro era un rapporto allenatore-giocatore. Ci sono stati alti e bassi perché alcune volte vedevamo le cose in modi diversi, ma c'è sempre stato rispetto tra di noi".
La nazionale spagnola è uno dei tuoi obiettivi?
"Sì. Devo trovare continuità di rendimento. Partecipare all'Europeo del 2016, al momento, è un sogno. Perché si realizzi devo lavorare sodo".
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