Gabriel Omar Batistuta è a Roma, è il giorno della presentazione del docufilm sulla sua vita dal titolo "El numero 9". Vi proponiamo le dichiarazioni del campione argentino durante la conferenza stampa:
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Batistuta: “Non ero Maradona, ho fatto sacrifici. Il passaggio alla Roma? Firenze mi ha capito”
Batistuta parla del docufilm e si racconta
Sono felice di aver regalato emozioni, il calcio è questo. Dopo tanto tempo che ho tenuto tutto nascosto, anche per proteggere me e la famiglia, ho deciso di raccontarmi. Gli adolescenti fanno fatica a scegliere cosa fare nelle vita, per me è stato semplice. Mi sono impegnato nel calcio, mi sono immaginato a cinquant'anni: mi volevo con una macchina e la famiglia, ho pensato che il calcio mi avrebbe dato un'opportunità. Quando ho iniziato sapevo poco del calcio, solo tirare e non molto altro. Mi sono impegnato, ho individuato un obiettivo e l'ho perseguito. Ho iniziato a diciotto anni e ho rincorso i miei compagni che erano sempre allenati e avanti a me. Per metà della carriera ho continuato ad imparare.
Le persone vedono solo la partita ma non conoscono le nostre sofferenze e difficoltà, ho voluto che venisse fuori anche questo. Ho smesso di giocare da venti anni e la mia immagine è ancora forte, questo mi dà soddisfazione. Sono felice che la gente si ricordi di me. L'amore dei tifosi? Ero simile alle persone, nessuno mi ha mai visto fuoriclasse come Messi, CR7 o Maradona. Loro hanno sempre saputo giocare, io ho dovuto imparare. Io sono una persona normale.
Sì, nel film chiedo ai miei figli di essere fra dieci anni persone migliori di oggi. Nel film ho detto ciò che sento, non ho seguito un copione. Bisogna sempre migliorarsi nella vita, i miei figli non ne possono più di sentirmelo dire.
I calciatori sanno che i tifosi gioiscono con le emozioni, si lavora anche per questo. A volte le cose non riescono come pensi e vorresti. La cosa importante è che noi dai tifosi volevamo e vogliamo rispetto, diamo emozioni ma dobbiamo ricevere rispetto. Io sono fortunato, ho vinto pochi trofei ma dove vado la gente mi ricorda. Quando mi vedono a Firenze, Roma e Milano. E' il mio premio migliore, vuol dire che la gente mi ha capito e ha visto i miei sforzi.
Trent'anni fa ero immerso nella mia volontà di migliorarmi, vedevo poco il lato dirigenziale. Pensavo solo a fare bene il mio dovere, il calcio non è mai stato un divertimento. A volte negli allenamenti, ma la domenica quando c'erano i tifosi sentivo la pressione visto che le persone pagavano per venirci a vedere. Oggi mi piacciono poco le cose che vedo, è un mondo pieno di business.
Festa in piazza a Firenze? So che la gente mi vuole bene, mio padre mi brontola ancora ma sono stato un buon figlio (ride ndr). Non ci si aspetta mai così tanto affetto, mio padre mi diceva sempre che coi gol sarei stato un idolo e senza reti avrei ricevuto critiche. Sono sempre stato trasparente con la gente, ho detto ai tifosi perché andavo a Roma: Firenze mi ha capito, io ho continuato ad amarla. Mi sono imposto il professionismo, quando giocavo per la Roma sembravo nato lì per quanto davo.
Il gol contro la Fiorentina? Le lacrime raccontano che ho dato tutto. In quel momento dovevo fare il massimo per la Roma, ero come un impiegato che lavorava.
Fiorentina? Niente è impossibile, la Juventus vince perché lavora bene. Vuole sempre vincere, lo può fare anche la Fiorentina anche se non è facile. Va fatto un percorso, ci son tante componente per far sì che una storia abbia successo.
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