La Fiorentina, forse, ha trovato il suo portiere, anche per ambire a traguardi importanti. Ma non ditelo prima a Pradè e poi a Montella. Entrambi, prima il ds per la verità, in tempi non sospetti — quando il tormentone Julio Cesar non era ancora nato — avevano spiazzato un po’ tutti, puntando forte su Neto. «Perchè, non può giocare lui titolare?». Più o meno questo il pensiero di entrambi. E quando il portierino brasiliano ha sfoderato un intervento tutto istinto (e un pizzico di fortuna che non guasta mai) sul Tanque Denis che vale come un gol. E’ stato in quel momento che la squadra ha capito che poteva davvero portare a casa i tre punti su di un campo avaro di soddisfazioni per i colori viola. Sarebbe però riduttivo riassumere la partita di Neto solo in quell’intervento perchè il numero 1 della Fiorentina si era già messo in luce disinnescando la sventola velenosa dell’ex Migliaccio, con il pallone sbucato tra un muro di uomini. Nel mezzo tanta sicurezza, trasmessa a tutto il reparto che non ha esitato ad appoggiarsi a lui anche per i disimpegni più complicati.
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Neto si prende la porta con la personalità del numero 1
La grande parata su Denis e non solo, il brasiliano c’è (COMMENTA)
Insomma, il ragazzo sta crescendo e non inganni la sua proverbiale educazione — sottolineata anche da chi abita nello stesso stabile, a due passi da piazza della Libertà — perchè la rabbia agonistica è la sua forza e — magari — il suo limite. Perchè proprio la voglia di fare bene qualche volta lo ha tradito. Scoglio che sembra essere stato superato anche dalla caparbietà con cui si allenato da quando è iniziato il ritiro. Un paio di contrattempi, come quello durante la seconda partita di Europa League contro il Grasshopper, ma anche il suo chiedere scusa subito dopo è stato un segnale. La squadra lo ha sempre sostenuto e, soprattutto, voluto, come si può facilmente notare prima di ogni partita quando tutti ‘caricano’ Neto e lo abbracciano. La svolta della carriera? Presto per dirlo, comunque avere un Neto così è incoraggiante. Pradè e Montella lo sanno bene.
Giampaolo Marchini - La Nazione
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