"Nel giorno del suo ottantottesimo compleanno, Ardico Magnini, grande ex giocatore della Fiorentina e membro dell’Associazione Glorie Viola, aveva aperto le porte di casa sua concedendo una lunga chiacchierata, ricordando le tantissime vittorie e le poche sconfitte con la maglia viola, rivelando alcuni aneddoti del passato. Il tutto con disponibilità e simpatia, commozione e un velo di malinconia. Sul tavolo, in mezzo ad un stanza con decine di quadri, ci sono medaglie, targhe, cimeli della sua storia calcistica, premi che testimoniano la sua grandezza. E proprio da una targa comincia la chiacchierata che il 21 ottobre 2016 venne riportata sulla pagina ufficiale delle "Glorie Viola"
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Tutto ebbe inizio dal quel “Muoviti, vagabondo!” La storia di Ardico Magnini raccontata da lui stesso
Violanews ripropone un’interessante intervista ad Ardico Magnini, storico difensore della Fiorentina, nel giorno del suo 88° compleanno
"Signor Magnini, che significato ha per lei l’intitolazione della piazza di fronte allo Stadio Artemio Franchi ai Campioni del 1956?
«E’ un gesto che mi rende felice, mi riempe d’orgoglio. Quella Fiorentina ha scritto una pagina importante della storia viola. Purtroppo a Firenze non abbiamo vinto molto, quindi è giusto ricordare chi l’ha fatto. Sono passati tanti anni…».
"E tante cose sono cambiate…
«Non ci sono dubbi, anche la zona intorno allo stadio è cambiata molto, non la riconosco quasi più. In generale è cambiato il mondo, e con esso ovviamente il calcio. Ricordo che ai miei tempi eravamo un grande gruppo di amici, prima ancora che compagni di squadra, ci sentivamo una famiglia. Eravamo sempre insieme, inseparabili. Ad esempio, eravamo legatissimi anche al presidente Befani, certe volte giocavamo a pallone insieme. Per farle capire quanto era diverso… Magari tornasse quell’atmosfera».
"Anche il rapporto con i tifosi non è più lo stesso, vero?
«Assolutamente! Dopo la partita passavamo tra la folla, i tifosi ci chiamavano per nome, ci davano delle pacche sulle spalle e ci dicevano “Bravi ragazzi!”. Oggi sarebbe impossibile, i calciatori sono diventati delle star. Non mi piace per niente come è diventato il calcio».
Qual è il suo rapporto con Firenze, lei che come sappiamo è nato a Pistoia?
«Ormai sono qui da tantissimi anni, ho vissuto in riva all’Arno anni meravigliosi e mi sento fiorentino a tutti gli effetti. A Pistoia mi lega l’infanzia, ma sono certo che se ci tornassi adesso non riconoscerei niente. Arrivai a Firenze nel 1950 e me ne innamorai immediatamente».
"A tal punto che, pur di stare a Firenze e vestire la maglia viola, ha rifiutato il Bologna…
«Sì, il Bologna mi voleva fortemente, così come la Fiorentina. Ricordo che il presidente Dall’Ara in persona venne a casa mia e dei miei genitori per convincermi, srotolando banconote… Ma io volevo solo Firenze, avevo dato la mia parola e non me la rimangiai. A quei tempi la parola era una sola, non come oggi. Ricordo che intervenne mio padre e con voce ferma disse: “Se mio figlio vuole andare alla Fiorentina, così sarà”. Dall’Ara se la prese molto, tant’è che qualche tempo dopo, rivedendolo, mi augurò tutta la felicità del mondo ma disse di non farmi vedere a giro per Bologna. [ride]
Insomma, sono legatissimo a questa maglia, per me è come una seconda pelle.
Mi è tornato alla mente un ricordo divertente legato a mio padre… Era un omino piccolo piccolo, ma era un atleta vero. Pensi che quando andavamo nei posti lui si rifiutava di salire in macchina, preferiva andare a piedi. A quei tempi, ai tempi della Pistoiese, non voleva che io giocassi a pallone, quindi andavo senza che lui lo sapesse. Giocavamo in campi di fortuna, spesso c’era lo spago a delimitare il campo e le tribune non esistevano. Una volta, mentre ci stavamo scaldando, guardai tra la gente e lo vidi, mio padre. E non sapevo come fare, sarei voluto scappare ma sapevo che lui mi avrebbe ripreso tranquillamente, essendo velocissimo. Allora entrai in campo, per molti minuti guardai più mio padre che il pallone, non potevo fare a meno di chiedermi cosa stesse pensando. Ad un tratto sentii un fischio. Mi sentii gelare il sangue nelle vene, mi girai e lui mi urlò “Muoviti, vagabondo!”. Quindi iniziai a giocare per bene, segnai tre gol e vincemmo cinque a zero. Da quella volta mio padre mi seguì sempre».
"Fece tre gol giocando da mezzala, giusto? Fu Luigi Ferrero a Firenze che la spostò in difesa…
«A quei tempi i moduli contavano poco, seguivamo le indicazioni del mister ma non c’erano tutte le tattiche di oggi. Ferrero ebbe l’idea di farmi giocare terzino, e fu una grande intuizione. Devo molto al mister, per noi era come un padre, gli volevamo tutti molto bene. Era una persona incredibilmente severa, se qualcuno arrivava anche un minuto in ritardo all’allenamento, lo faceva ritornare a casa. Quante volte sono andato al campo in pigiama, pur di non arrivare tardi. Però, a parte questo, era un uomo buono, giusto e dal grande cuore. Ricordo quando Cervato ed io lo invitammo a cena: salutandoci si commosse e disse “Io li ho fatti, qualcun altro se li godrà”. Parole che non dimenticherò mai».
"Nella Fiorentina ha giocato dal 1950 al 1958. Quali sono stati il momento più bello e quello più brutto della sua avventura viola? Credo di avere un’idea…
«La vittoria dello Scudetto è certamente il momento più bello, è indimenticabile. Fu una emozione unica, una vittoria incredibile figlia di una netta superiorità. Pensi che la Nazionale Italiana a quei tempi era composta da dieci giocatori viola. Non come adesso, che ci stupiamo di vederne tre o quattro di una squadra. Eravamo un gruppo davvero straordinario, raramente perdevamo.
Il momento più brutto, ovviamente, è quello legato alla finale di Coppa dei Campioni del 1957.
Ricordo perfettamente quella notte, giocammo alla pari del grande Real Madrid, in casa loro, di fronte a più di centomila spettatori ammutoliti. Purtroppo l’arbitro ci penalizzò fischiando un rigore per i blancos che non c’era: il mio intervento era fuori area! E quell’episodio cambiò la partita, il Real Madrid si chiuse e cercò di colpire in contropiede, trovando poi il 2-0 definitivo. E’ una cosa che ancora oggi mi fa male, mi lascia un senso di insoddisfazione, come se qualcuno ci avesse tolto una cosa che ci meritavamo. Come si dice, nella vita non si può avere tutto».
"Lei è un membro attivo dell’Associazione Glorie Viola: cosa significa per lei e cosa la lega all’Associazione?
«Far parte dell’Associazione è molto importante per me, è un grande riconoscimento per gli anni trascorsi indossando la maglia della Fiorentina. Inoltre, mi dà la possibilità, accompagnato da mio nipote Edoardo, di partecipare a cene ed eventi in grado di aumentare il senso di appartenenza a questa città e a questa squadra: ci sentiamo una grande famiglia!».
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