Più di centocinquanta partite con la maglia viola, oltre 40 gol segnati ed una Coppa Italia vinta da titolare, questo e molto, molto altro è stato per la Fiorentina Claudio Desolati, attaccante viola degli anni '70. Abbiamo ripercorso con lui tutta la sua avventura in viola, dagli inizi ai trionfi, passando per compagni e allenatori.
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PERSONAGGI VIOLA – Desolati: “Che emozione lo stadio in festa per il mio gol alla Juve. Con Antognoni e De Sisti…”
Violanews vi propone una nuova rubrica. Ogni settimana vi racconteremo sotto vari punti di vista un personaggio della storia viola. Oggi è la volta di Claudio Desolati, storico attaccante viola degli anni '70
Desolati, lei cresce nelle giovanili del Genoa, poi passa in viola e scoppia l'amore, ci racconti un po' i suoi inizi e che calciatore era
"Ero un ragazzino di 16 anni che arriva alla Fiorentina, potete capire da soli la mia situazione, chiaramente non è facile. Ero molto timido, mi sono messo subito a disposizione di mister Liedholm, ma per farvi capire io davo del lei ai giocatori più esperti come De Sisti, ero abituato a dare del lei alle persone più grandi di me. A tutt'oggi devo ringraziare tutti i miei ex compagni, Chiarugi, De Sisti e via dicendo, che mi aiutarono quando arrivai alla Fiorentina. Cercavano sempre di darmi una mano e mi facevano sentire uno di loro. Quando sbagliavo mi aiutavano e mi correggevano, mi hanno fatto diventare un uomo. Come calciatore invece una cosa buona che avevo è che capivo cosa volevano i giocatori che avevo accanto, giocavo per gli altri, sapevo tutti dove volevano il pallone, chi accorciava e chi saliva. Era un calcio diverso, non essendoci più oggi lo stopper, la punta è molto più libera, giocando a zona i giocatori non vengono più marcati.
"Arriviamo al grande traguardo in viola, la coppa Italia '74-'75, che ricordi ha di quel trionfo?
"Ogni trofeo è bello, l’importante per noi era giocare. Io ero contento di vedere tutta la gente che si abbracciava allo stadio, quella è sempre stata la cosa più gratificante. Anche il gol che ho fatto contro la Juventus mi è rimasto impresso, perché vedere la gente che si abbraccia è un’emozione unica. Vincere una finale contro il Milan ‘è stato meraviglioso, una partita da incorniciare. Si fece male Roggi, entrò Rosi e fece il gol della vittoria, potete solo immaginare il nostro stato d’animo. Entra al quattordicesimo e fa gol, una cosa molto bella, che posso ricordare finché campo. Poi si giocava contro una grandissima squadra e nello stadio di Roma gremito. Per noi giovani era indescrivibile, vincere era il nostro dovere, volevamo dare il massimo per la società e per noi. Ai tempi si era capitale della società e si doveva dare il massimo per essere confermati, arrivava in ritiro il direttore sportivo e si firmava, magari si poteva chiedere qualcosa in più, ma solo con un grande stagione. Io ebbi delle richieste, nel 77 dall'Inter, ma io volevo rimanere alla Fiorentina, infatti sono stato molto felice di non esser stato ceduto dalla società.
Parliamo dei suoi compagni viola, da Antognoni a De Sisti ha condiviso lo spogliatoio con grandi giocatori, che ricordi ha?
"Io e Antognoni eravamo molto giovani quando giocavamo insieme, avevamo Superchi, Scala e tantissimi grandi giocatori che avevamo intorno, che erano per noi anche dei fratelli. I più esperti ci seguivano passo passo, soprattutto a 16 anni, erano quasi dei padri per come si comportavano con noi. Ci davano sempre una mano quando sbagliavamo, non come si fa adesso. L’idea di vincere tutti insieme era molto più forte prima, tutti volevano il bene di tutti. Anche a me non è mai cambiato nulla se i gol li facevo io o qualcun altro, l'importante era la squadra.
"Ha avuto anche grandi tecnici, Da Radice a Liedholm passando per Rocco, cosa ricorda dei suoi mister?
"Ogni allenatore aveva le sue qualità, ne ho avuti molti bravissimi. Liedholm era un personaggio unico, in ritiro lui dal venerdì alla domenica non si vedeva, aveva paura di crearsi una brutta area intorno, di metterci sotto pressione. Lui ci diceva sempre “è il campo che comanda”, ci allenava ma ci ricordava sempre che poi era la domenica a parlare, veramente un grande mister oltre che uomo. Rocco è venuto a Firenze dopo la sua epoca nel Milan, ma un giocatore si ricorda sempre degli allenatori che gli sono stati dei padri, che magari ti rimproverano anche,ma sempre per cercare di migliorarti. Radice invece, che tutti chiamavano sergente di ferro, ma a me piaceva molto, aveva il suo metodo molto rigido, questo è vero. Lui il sabato sera passava per le camere d'albergo a dire a tutti cosa avrebbero fatto la domenica, a chi giocava gli spiegava le richieste tattiche, e a chi non giocava spiegava il perché con grande lucidità. Ora non succede più, ti dava sempre motivazioni valide, ti dava l’idea di considerarti sempre.
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