Giancarlo, l’anno scorso hai festeggiato i 40 anni dal tuo esordio nella Fiorentina. In tutti gli anni passati in maglia viola hai mai avuto la tentazione di andartene, soprattutto quando alla fine del mercato la tua permanenza a Firenze era sbandierata come il miglior acquisto?
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Il giocatore più amato si racconta a Violanews (COMMENTA)
No, diciamo di no. Anche se poi proposte ne abbiamo avute, sia io che la Fiorentina. Il fatto è che prima eri vincolato alla società, che aveva molto potere decisionale, e per il giocatore non era così facile come adesso gestire la propria carriera. Comunque il pensiero di andare via non c’è mai stato, a parte in due occasioni. Nell’80 con la Roma, quando entrai direttamente in contatto con il compianto presidente Dino Viola. Mentre nel ’78 l’allora presidente della Fiorentina Melloni mi chiamò un giorno a casa e mi disse che la Juve avrebbe fatto follie per acquistarmi subito dopo il mondiale di Argentina. Queste sono le due vicende che mi hanno toccato più da vicino. Le altre si leggevano sui giornali. Alla fine ho optato per rimanere sempre a Firenze. Anche perché negli anni dal ’72 all’80 la Fiorentina era basata molto sui giovani, con l’unica ambizione di arrivare in una competizione europea. Mentre nell’80 i Pontello entrarono in società con l’intenzione di vincere qualcosa. Nei tre-quattro anni successivi sfiorammo la vittoria in campionato e giocammo un bel calcio. Andare via avrebbe avuto poco senso, visto che c’era la prospettiva da parte della Fiorentina di poter puntare a qualcosa di concreto.
Finita la carriera di calciatore, hai mai pensato di fare l’allenatore?
No, perché essendo io una persona tranquilla nel momento in cui ho finii, dopo circa 17 anni di professionismo, automaticamente mi resi conto di aver bisogno di un po’ di calma, anche perché ho avuto una carriera piuttosto travagliata, con infortuni e grosse responsabilità. Tante cose erano successe e quindi al momento di smettere volevo fare una vita un po’ più tranquilla e regolare, quindi ho optato per rimanere nell’ambiente. Però per fare il dirigente piuttosto che l’allenatore. Già sapevo che il pensiero di andare di nuovo in campo mi avrebbe creato tensioni, problemi, stress e quindi…
Sei d’accordo con chi, mi sembra Brera, disse che i grandi giocatori non potranno essere grandi allenatori perché non capiscono i mediocri? A proposito di Brera c’è un articolo su di te…
Positivo o negativo?
Negativo.
Ma, sai, a Brera i giocatori con certe caratteristiche piacevano fino a un certo punto. Poi bisogna vedere se…
Lui diceva che non coprivi abbastanza.
Magari aveva anche ragione però, come ho detto, ci sono persone che preferiscono giocatori con certe caratteristiche. Mi ricordo quando criticava Rivera…
Lo chiamava l’abatino.
Era la sua opinione… Comunque, per tornare alla domanda, ci sono grandi giocatori che sono diventati grandi allenatori, come Cruijff, Van Basten, Capello, Ancelotti, che da giocatori hanno fatto la storia.
Secondo te il peso di un allenatore nella resa di una squadra è aumentato o diminuito nel tempo? Esempio il Barcellona, che con il Milan si è trasformato in due settimane e ha giocato come faceva con Guardiola pur avendo in panchina un semi-sconosciuto. Forse è cambiato il ruolo dell’allenatore?
No, è solo che oggi l’allenatore è anche un gestore. Poi è chiaro che si occupa anche di allenare, ma il suo ruolo oggi è diverso. Poi con l’avvento dei tre punti gli allenatori hanno dovuto ricominciare a fare calcio sul serio.
Prima c’era il pareggio che salvava molte panchine…
Prima andava bene anche il pareggio. Oggi il pareggio è una mezza sconfitta e quindi l’allenatore di oggi pensa meno alla divisione dei punti. Anche se poi, chiaramente, bisogna sempre distinguere tra squadra e squadra: quelle di alta e media classifica e quelle che giocano per non retrocedere, a cui il pareggio può anche andare bene. Soprattutto contro le grandi squadre. Le grandi, invece, puntano alla vittoria ed è qui che l’allenatore deve essere abile innanzitutto a gestire i suoi campioni nella maniera giusta (che poi è la cosa principale). Poi deve metterli in campo e in questo credo che l’allenatore italiano oggi sia il migliore del mondo. Magari non si vede il gioco spettacolare, però dal punto di vista tattico credo che…
Montella e Conte sembrano un po’ smentirti.
Credo che oggi siano i migliori allenatori che stanno venendo fuori.
Secondo molti Di Stefano e Pelè oggi farebbero fatica. Ma il calcio è così tanto cambiato? La fisicità è diventata così importante?
Il fisico lo abitui a seconda del momento storico in cui ti trovi a giocare. Dieci anni fa la preparazione doveva essere di un certo tipo, oggi sono cambiati i metodi di allenamento anche se il campo è sempre uguale (forse solo un po’ più stretto), perché c’è più aggressività e ti danno meno tempo di ragionare. Sono d’accordo su questo. Sotto altri aspetti, invece, credo che per un giocatore oggi qualcosa sia più facile di prima. Prima si marcava a uomo. La marcatura a uomo per un giocatore importante era dura, perché c’era sempre l’uomo che ti seguiva, anche se andavi in panchina a bere. Non era facile divincolarsi. Oggi c’è la zona, che sicuramente ha cambiato la prospettiva delle squadre in campo, però a volte agevola il giocatore che è più libero. Esempio Pirlo: se lo lasci giocare fa quello che vuole, se gli metti l’uomo addosso fa più fatica. Lo stesso per Pizarro. Ci sono sempre situazioni difficili per un giocatore, adesso come 50, 30, 20 o 10 anni fa. Le difficoltà ci sono sempre.
Parliamo di giovani, un argomento che credo ti stia a cuore. Nell’ultimo torneo di Viareggio le grandi, a parte il Milan, sono state tutte eliminate nelle fasi preliminari. Vuol dire che i vivai sono curati poco, i giovani sono seguiti poco, ci sono troppi stranieri…
Un insieme di cose. Devo dire che oggi, contrariamente a quello che si pensa, si è ricominciato a investire sui giovani. Io seguo le nazionali giovanili e vedo dei miglioramenti, forse dovuti anche all’avvento di Sacchi che ha cercato di portare la sua idea di calcio, quella che ci ricordiamo con il Milan di 20 anni fa. Si sta provando a cambiare la mentalità a livello giovanile, almeno a livello di nazionale. Anche se quando vado a vedere le partite non sempre mi diverto. Però in nazionale l’input è quello di cercare di migliorare dal punto di vista tecnico ma anche tattico.
Ci sono giovani interessanti, certo, ma come dicevi tu giustamente, stranieri anche a livello giovanile. Ce ne sono tanti anche in prima squadra e di questo la nazionale ne risente. Però, per esempio, vedi anche il Milan − la squadra più blasonata a livello mondiale− che sta investendo sui giovani. Ha venduto i “vecchietti”… L’importante è prendere giovani bravi…
Saresti d’accordo su mettere delle regole? Per esempio obbligare le società ad avere in rosa un certo numero di giocatori under 20.
Ci potrebbe stare anche quello. Magari 6 stranieri (non di più) e 5 italiani. Così invoglieresti le società a investire sui nostri giocatori e privilegi la nazionale. Poi se c’è da mettere gente di 20 anni obbligatoriamente… Ma tutto dipende dalla federazione e dalle sue strategie.
DUCCIO MAGNELLI
La seconda parte dell'intervista sarà pubblicata domani
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