Quanto accaduto domenica a Marassi lascia certamente umiliati ed offesi. Le immagini di domenica pomeriggio sono state negative: da qui si deve ripartire per una riflessione che porti ad una maggiore cultura sportiva, a comportamenti più idonei, a regole più rigide.
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Si è parlato molto ed espresso tante opinioni, in merito a ciò che era giusto o sbagliato fare, durante il periodo di sospensione della gara. Va innanzitutto detto che, in quelle circostanze, pur consapevoli del ruolo di ciascuno, certamente influisce l'emotività sulla pur ricercata, razionalità.
In quei momenti possono essere state fatte scelte sbagliate, ma certamente in buona fede. La società, le Forze dell'Ordine, i dirigenti, i giocatori – tutti protagonisti, loro malgrado – si sono trovati ad affrontare una situazione inedita ed inaspettata. Il primo pensiero che credo sia passato nella mente di tutti coloro che erano in campo è stato quello di preservare la sicurezza e l'incolumità della collettività, senza far incorrere in rischio alcuno gli spettatori presenti.
Società e giocatori non si sono sottomessi alle indicazioni di un gruppo di tifosi, né hanno dato dimostrazione di non attaccamento alla maglia e alle regole sportive: bensì, bisogna onestamente inquadrare l'episodio, compreso il momento di consegna delle maglie ai magazzinieri, nella sua contestualità. L'obiettivo primario era di normalizzare il più celermente la situazione e fare in modo che la gara potesse riprendere.
Non c'è stata qualsivoglia ulteriore iniziativa, figlia del momento o dettata dall'istintività o dalla deresponsabilizzazione di alcuno. Il pianto e lo sconforto di alcuni atleti, semmai, testimonia il dispiacere e l'attaccamento ai colori della società e, più in generale, al movimento dello sport.
E' certamente più facile, ex post, sostenere la miglior tattica per depotenziare ciò che stava accadendo in quei momenti. Ma all'istante nessuno aveva terapie o soluzioni certe. Di comune accordo si è scelto di attuare un piano di prudenza, buon senso e autocontrollo.
Molti hanno condiviso, a giudicare dalla tanta solidarietà di tifosi, famiglie, giovani e appassionati dello sport vero (di cui diversi neanche genoani), ma anche dal mondo professionale. Altri, invece sono stati più severi, ritenendo che si siano commessi degli errori. Certo, non si può sapere chi avrebbe avuto ragione.
Avrei auspicato anche una maggiore solidarietà istituzionale, ma forse le globali tensioni e difficoltà del momento, non hanno reso possibile questo mio desiderio. Chiedo, però, che ciò non dia adito a giudizi di colpevolezza. Di certo, su un punto vorrei essere chiaro, come persona e come dirigente sportivo: la lotta alla violenza e la maggior sicurezza negli stadi, sono da sempre stati un obiettivo per il Genoa Cfc, sotto la mia gestione.
Mi piacerebbe pensare a un futuro diverso: con supporter che plaudono i propri beniamini, ma sanno accettare il risultato sportivo anche se negativo per i propri colori, che sappiano plaudere anche la squadra avversaria. Mi piacerebbe pensare ad un futuro diverso con uno stadio pieno di famiglie con bambini, giovani e anziani insieme per assistere ad un evento di spettacolo e di sport.
Questi valori la società che mi onoro di rappresentare - il club più antico d'Italia, Genoa Cfc 1893 - ha sempre coltivato e portato avanti. E in questi valori in cui crede e crederà, cresce l'intero movimento dalla prima squadra al suo settore giovanile.
Enrico Preziosi (Presidente Genoa Cfc)
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