Lo sapevano tutti. In Italia, alla fine del campionato, molte partite sono combinate. É un mondo fatto così. Ci sono entrato dentro partendo dalla Svizzera. Giocavo nel Chiasso. Il mio intermediario è stato Mauro Bressan. Prima riunione in un bar di Mendrisio, al Fox Town. Con me c’erano Gervasoni e Gritti. All’inizio avevo pochi soldi da investire, per questo ho cercato aiuti. Ho coinvolto anche il mio amico di infanzia Hristiyan Ilievski. Abbiamo messo soldi per avere partite sicure, ho pagato giocatori come Joelsson, Mario Cassano e Pellicori. Ma noi, quelli che chiamate gli zingari, non siamo stati gli unici. Erano in tanti ad approfittare del sistema. C’erano altre cordate...».
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Gegic: “Io, le gare sicure e i complici”
Lo sapevano tutti. In Italia, alla fine del campionato, molte partite sono combinate. É un mondo fatto così. Ci sono entrato dentro partendo dalla Svizzera. Giocavo nel Chiasso. Il mio …
Collaborativo. Preciso. Sicuro di sé. Felpa grigia, sciarpa nera. Dopo aver autorizzato le riprese dalle telecamere mentre scendeva dal blindato della polizia penitenziaria, dopo aver sorriso ai fotografi, Almir Gegic ha incominciato il suo lungo racconto davanti al gip Guido Salvini. Pagine e pagine di verbale. Quattro ore ieri, oggi la seconda puntata. Quasi una rivisitazione dell’inchiesta. Dalla B del centravanti «ignorante» Pellicori, come si era autodefinito. Alle partite di A in cui è stato tirato in ballo: Lazio-Genoa, Lecce-Lazio, Palermo-Bari, Inter-Lecce. «Ma io non ho mai minacciato nessuno - ha ripetuto - ho approfittato della situazione, che è diverso...».
Almir Gegic era uno dei due grandi latitanti dell’inchiesta di Cremona, l’altro è proprio il suo amico di infanzia Ilievsky (anche lui annunciato prossimo a costituirsi). Nelle carte compaiono entrambi ovunque, e principalmente nei ritiri di alcune squadre mentre organizzano e pretendono. È Gegic che sventola banconote da 500 euro in faccia a Vittorio Micolucci dell’Ascoli. «Ma lui non li ha divisi con i compagni dello spogliatoio, non era affidabile...».
Nato a Novi Pozar, enclave musulmana in Serbia. Come calciatore non ha mai sfondato. Centrocampista coriaceo, poco tattico. Tre partite al Vicenza, poi tanta Turchia, infine Svizzera. Gegic guadagnava 5 mila euro netti al mese nel Chiasso, quando ha capito che poteva buttarsi nel business delle scommesse. «Ma era qualcosa di molto più grande di me...». Non in senso figurato. «Non avevo abbastanza soldi, quindi ho coinvolto altre persone». E per rendere l’idea di quanto fosse grande il giro, ha spiegato quello che ha visto con i suoi occhi all’hotel Tocqueville di Milano. «C’era un signore con dieci telefonini. Un tizio alto, caratteristico. Voleva 600 mila euro per informazioni sicure sulle partite di A». Un racconto che trova echi in altri due verbali, quello di Carlo Gervasoni e quello di Massimo Erodiani, proprietario di una ricevitoria, finito in carcere nella prima ondata di arresti. Insomma, è ovvio che adesso la procura di Cremona e gli investigatori dello Sco vogliano capire meglio. Stanno lavorando per identificare l’uomo con i dieci telefoni. Che poi sia davvero una nuova porta sul mondo delle scommesse, è ancora da dimostrare. «C’era di tutto lì in mezzo. Gente seria e gente inaffidabile...», ripete Gegic. E quando si tratta di affari la differenza è decisiva.
La Stampa
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