Il programma è: autobus e poi metro, l’insostituibile «Tube» della City. Ci sono tifosi della Fiorentina e tifosi del Tottenham. L’atmosfera è allegra, risate e scambi di opinioni. «Avete un buon gioco, ma quel 72...», «si chiama Ilicic», «ecco sì il 72 proprio non va, è solo un fottuto giocoliere». Non si offenda Josip, d’altronde da queste parti apprezzano più una scivolata che una finta o un dribbling. Meglio insomma farci una risata e continuare a parlare di calcio, sciarpe viola e biancoblu insieme. Troppo bello vero? Naturalmente, almeno con i nostri stadi blindati, con le nostre curve deserte e sempre in protesta ostaggio di una minoranza talmente rumorosa da sovrastare tutto. Ormai sono circa le 11 ed è tempo di cambiare mezzo di trasporto. I nostri amici Spurs del bus scendono con noi, si propongono perfino di accompagnarci salvo poi entrare nel primo market aperto alla ricerca di un po’ di birra. Giusto così, fa parte della tradizione inglese, quella del Terzo Tempo, del rugby. La pensiamo così anche noi, almeno fino a quando non imbocchiamo l’ingresso della metro.
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Corriere Fiorentino: il racconto del raid antisemita contro David Guetta
Il coro, il gelo, lo sdegno: il racconto di cinque minuti da dimenticare di Ernesto Poesio
Qui l’atmosfera cambia subito. Davanti un gruppetto di tifosi viola, una ventina, che di sorridere proprio non sembrano avere voglia. Anzi, individuano subito David Guetta, e senza nemmeno mettersi d’accordo iniziano a cantare: «David Guetta c’è un treno per Mauthausen che ti aspetta». Scende il gelo, il gruppetto insiste, vuole guardarci in faccia, mostrare il proprio sorriso (o meglio, il ghigno) carico di arroganza. È quello del branco, il più pericoloso, perché capisci che il confine tra le parole e i fatti si sta facendo più sottile. Certo l’istinto sarebbe quello di rispondere, vorresti che non finisse così. Poi però capisci che la cosa migliore è andare avanti, restare vicini a David e cercare di allontanarsi il più possibile. Appena arrivati sui binari, la scena si ripete, il gruppetto si fa più spavaldo, vogliono provocare, dimostrare che se solo volessero potrebbero andare anche oltre. Per farlo però aspettano la scintilla che non scatta, così il gruppo si dilegua, sale su un altro vagone tra pacche sulle spalle e sorrisi compiaciuti per quella che probabilmente considerano una «bravata». È finita. Sarà durato cinque minuti, ma il senso di vuoto che resta dentro è molto più profondo.
Ernesto Poesio - Corriere Fiorentino
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