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Cesare, fiorentino d’onore e di fatto

«Io ci vivo e la trovo meravigliosa». Come un fiorentino vero non ha perso un attimo per difendere la «sua» città dall’infelice e inopportuno attacco di Marchionne. Più di un …

Redazione VN

«Io ci vivo e la trovo meravigliosa». Come un fiorentino vero non ha perso un attimo per difendere la «sua» città dall’infelice e inopportuno attacco di Marchionne. Più di un fiorentino forse perché per lui Firenze è stata una scelta dopo esservi arrivato, nel 2005, in punta di piedi ed essersi fatto conquistare giorno dopo giorno, imparando ad aprire il suo carattere schivo e a volte permaloso. Cesare Prandelli e Firenze, è la storia di una somma ancora aperta. Si sono regalati tanto, si sono completati a vicenda e continuano a farlo anche ora che da tre anni sono divisi, ma solo calcisticamente. Perché il ct in realtà ne è cittadino già da tempo, tanto da far pesare la possibilità di non lasciarla quando ha accettato la panchina della Nazionale.

Un rapporto fortissimo, iniziato forse nel suo giorno più triste, quello della scomparsa della moglie Manuela. Fu allora che capì di non essere più solo l’allenatore della Fiorentina. Quando si ritrovò una città intera accanto, senza i consueti fiumi di retorica, come si fa con un amico di famiglia ferito. Per la prima volta in uno stadio italiano invece degli applausi calò un silenzio irreale, lunghissimo per intensità ed empatia. Da quel momento quell’uomo nato a Orzinuovi non è stato più un ospite di passaggio, non più «Prandelli» ma semplicemente «Cesare», anzi «il nostro Cesare». Perché il calcio, in questa storia, c’entra fino a un certo punto. Si ferma là dove ne sono venute meno le regole non scritte. Quelle che raccontano di protagonisti sempre con la valigia in mano, pronti magari a giurare amore eterno salvo poi rimangiarsi tutto alla prima occasione. Di promesse Cesare non ne ha fatte poi molte, e a Firenze è rimasto per inziare la sua nuova vita da ct della Nazionale. Semmai ha provato a sognare insieme alla città che lo aveva adottato. Miraggi, come quello dello scudetto, che hanno finito per portarlo a scontrarsi con la realtà come un tifoso qualsiasi, fino a non trovare più spazio nella «sua» Fiorentina. E allora eccole ancora le lacrime, per la seconda volta. Quelle sincere dalla finestrella degli spogliatoi mentre salutava i tifosi accorsi per un disperato ultimo tentativo di farlo restare.

Eppure proprio in quel momento Prandelli è diventato definitivamente fiorentino. Uscendo con la sua Smart dal cancello della curva Ferrovia nel suo ultimo giorno da allenatore della Fiorentina, Cesare e Firenze hanno iniziato a guardarsi con occhi forse più sinceri. Non più la «simpatia» legata a un risultato, né osanne per una vittoria in Champions, magari storica come quella di Liverpool. Solo una città a misura di un uomo come lui. Non una metropoli, magari anche un po’ provinciale ma al punto giusto per chi arriva da un piccolo paese del bresciano e che mai ha avuto il rimpianto di essere stato costretto (per stare accanto alla moglie malata) a lasciare Roma. Anche per questo Prandelli a Firenze ha cercato il proprio posto in una dimensione ancora più ristretta. Quella del quartiere di Santo Spirito in cui ha traslocato dopo aver trascorso i suoi anni da allenatore viola sulla collina di Arcetri. Ma l’Oltrarno, grazie anche alla sua compagna Novella, lo ha definitivamente conquistato. Ne vive la quotidianità, dalla basilica di Santo Spirito ai bar della zona.

E poi i suoi ristoranti preferiti come quello di sushi dietro piazza del Carmine, o una più tradizionale trattoria in via di Ripoli fino all’immancabile bistecca alla fiorentina in uno storico locale a due passi da Santa Maria Novella. Ed è proprio attraverso le sue passioni che Cesare ha conosciuto pian piano Firenze e i suoi dintorni. Spingendosi fino al Mugello per giocare a golf, dopo il calcio decisamente il suo sport preferito. Tanto Prandelli ha ricevuto, tanto ha dato. Tramite il suo lato più profondo, quello della solidarietà. Da anni è testimonial per l’Associazione Toscana Tumori, così come non manca mai all’appuntamento di «Corri la Vita» organizzato da Bona Frescobaldi per raccogliere fondi da destinare alle strutture di Firenze specializzate nella lotta contro il tumore al seno. E poi il suo rapporto profondissimo con Caterina, «Milano 25, la tassista dei bambini» e con il Meyer dove ha portato in visita gli azzurri prima degli Europei. Un modo per portare sempre con sè pezzi di Firenze. Che da ieri può definire sua, anche senza virgolette.

Ernesto Poesio - Corrierefiorentino.it