Dopo aver rivisto Gabriel Omar Batistuta ho deciso di rimettere qui lì una piccolissima parte del mio monologo intitolato “il pallone lo porto io”. Se vi va…
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B. Ferrara sul blog: “Correndo alla bandierina”
Dopo aver rivisto Gabriel Omar Batistuta ho deciso di rimettere qui lì una piccolissima parte del mio monologo intitolato “il pallone lo porto io”. Se vi va… (…) Fermi tutti. …
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Fermi tutti. Fermiamoci Qui. Voi sapete che ci sono momenti della vita dove avviene qualcosa di mistico. Si dice, per esempio, che in punto di morte la vita ti scorra davanti agli occhi. I momenti più importanti e significativi della tua storia di uomo e di donna ti si ripresentano come il riassunto di un film: rewind-play… e tu sei spettatore. Io dal giorno in cui lessi questa cosa ho iniziato a vivere nel terrore che in quel giorno possa accadere qualcosa di terribile, più terribile della dipartita da questo mondo. Che io, poco prima di partire nel viaggio verso ciò che sarà mi trovi davanti a quel film e che a un certo punto partano le immagini di reggiana fiorentina 0-0 (12 gennaio 1997). Una partita dove non ci fu un tiro in porta, la più brutta a cui io abbia mai assistito. Un incubo che non finiva mai. Pensate: una vita piena di cose belle e intense che finisce con la sintesi di Reggiana-Fiorentina. Non è giusto.
Ma penso che non andrà così. Penso che rivedrò i momenti più importanti. I miei genitori, il primo bacio, il secondo bacio e magari anche l’ultimo. E poi i miei figli, ascolterò per l’ultima volta le canzoni che amo e se mi va bene mi vorrei anche rivedere il 2-3 in casa dei gobbi col gol di Osvaldo.
Ma ve lo dico: io e voi non sappiamo cosa accadrà negli ultimi momenti della vita, ma sappiamo che esistono frammenti temporali dove accadono cose magiche. Come un colpo di fulmine.
O quel giorno dell’ottobre del 1998, a Londra, a Wembley, nel tempio del calcio mondiale, quando è accaduto qualcosa di realmente mistico.
Sapete, qualcuno di voi se lo ricorderà. Quello stadio faceva paura. Arsenal-Fiorentina era l’ultima partita che si giocava su quell’erba. Subito dopo avrebbero fatto a pezzi e ricostruito quello stadio. Prima della partita gli altoparlanti sparavano we will rock you dei Queen. Bum bum. I giocatori dell’Arsenal si scaldavano i muscoli in orizzontale. Sembravano tutti fichissimi. Petit con la sua coda bionda. Vieira: altissimo, monumentale, cattivo.
E i nostri? I nostri erano laggiù, dietro la porta. Non vedevo Batistuta, solo Firicano e Rossitto. Gregari di un sogno che sembrava impossibile. Sembravano tutti personaggi minuscoli. Erano in cerchio, come fossero su un qualunque campino di periferia. Sapete, mi batteva forte il cuore. Ero un uomo, eppure mi sentivo ragazzino. Ecco, quel qualcosa di magico. La passione.
E quel momento in cui rivedi la tua vita proiettata nel tuo cervello. Il mio amico marco che mi suona al campanello e io che mi affaccio e urlo: scendo, il pallone lo porto io. Io che gioco con i miei amici in piazza. Io che quasi non credo di essere adesso qui, in questo stadio pazzesco.
L’azione: Firicano, Heinrich e poi…poi Batistuta. E tu che pensi oddio cosa succede. E il Re leone che si allunga il pallone per superare il difensore e tu che allora immagini che sia finita lì, perché l’angolo tra il pallone e la porta adesso forse è troppo stretto. Impossibile, impossibile… in quel momento non hai età. Solo passione, adrenalina, paura e voglia di esplodere. Un incrocio magico. Perché solo qualcosa di magico ti può salvare. Vincere a Wembley non è possibile. O forse sì.
Poi un lampo. Poi un urlo. Poi solo noi… (continua)
Ciao e alla prossima, vostro fedelissimo B.
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