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L'intervista

Tramezzani a VN: “Ora riconosco Cabral! E in una cosa è tra i migliori al mondo”

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Ma non solo King Arthur: una chiacchierata a 360 gradi con l'allenatore giramondo

Federico Targetti

Un po’ di riposo, dopo tanto peregrinare, è proprio quello che ci vuole. Albania, Svizzera, Cipro, Livorno, ancora Svizzera, Croazia, Arabia Saudita, Svizzera di nuovo. Il giro del Mondo in 10 anni o qualcosa di simile per Paolo Tramezzani, ex calciatore tra le altre di Inter e Tottenham che abbiamo raggiunto telefonicamente poco dopo il rientro da un viaggio con la famiglia. Perché che sia per allenare o meno, “viaggiare” è sempre la parola d’ordine.

“Ne ho girati di posti… Mi piace molto l’esperienza che sto facendo”, ci racconta Paolo. “Dal 2011 al 2016 sono stato in Albania (da vice di Gianni De Biasi, ndr), è straordinario vedere come è cresciuto il movimento. Ve lo ricordate Memushaj? Ecco, le prime volte che lo abbiamo convocato giocava al Carpi in Lega Pro… Oggi abbiamo due portieri da Premier League e Serie A come Strakosha e Berisha, poi Hysaj, Djimsiti, Kumbulla, Broja…”.

Curiosità nostra: ma questo Broja che adesso è infortunato e che immaginiamo lascerà il Chelsea stracolmo di attaccanti è forte forte? Ci possiamo fare un pensierino?

“Ho avuto modo di vederlo e di sentirne parlare, ma anche solo rimanendo a quello che ho visto vi dico che è un giocatore completo. Ha fisicità, tecnica individuale, sa difendere la palla e attaccare la porta. Sa muoversi, rendersi pericoloso, ha tutto. Sicuramente è il talento di maggiore prospettiva dell’attuale Albania, su di lui sono pronti a scommetterci in molti”.

Vada pure avanti, l’abbiamo interrotta con Broja.

“Beh, dicevo, sono stato in Croazia, che era già alla ribalta come espressione di talento. E l’Arabia ha un campionato molto interessante, al di là della scelta di Ronaldo che ha fatto molto rumore. Ma proprio per il fatto che ogni squadra può permettersi sette giocatori stranieri, quindi gente di qualità, offensiva. Questi campionati sono cresciuti e stanno crescendo notevolmente”.

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Rimaniamo in tema attaccanti: Balotelli invece? Qualche voce su Firenze c’è stata, lei che lo ha allenato fino a pochi mesi fa si spiega per quale motivo la sua carriera non è andata di pari passo col suo talento?

“Io credo veramente che Mario, a livello di talento puro, qualità individuale, giocate e pericolosità sia il migliore attaccante italiano in circolazione. Un giocatore così la Nazionale, credetemi, non ce l’ha. Se però devo dire perché non gioca adesso dove giocava da giovane, Inter, Manchester City, Milan, Liverpool… mi trovo in difficoltà”.

Come mai?

“C’è qualcosa che stona. Per il rapporto che ho avuto con lui, io l’ho sempre apprezzato tantissimo, proprio a livello umano, personale. E’ un ragazzo buono, sensibile, molto lontano da quello che viene raccontato e che mi è stato proprio raccontato anche da persone che frequentano da dentro il mondo del calcio. Per quella che è la mia esperienza, il Balotelli uomo è ancora più grande del Balotelli calciatore. Mi dispiace vederlo al di sotto dei livelli che gli competono, sinceramente non me lo spiego. Mi ricordo quando si parlava di lui in ottica Fiorentina…”

Veniamoci noi allora: se le dico Fiorentina, cosa le viene in mente?

“Era sempre bello andare a giocare a Firenze da avversario. In Serie A vai a sfidare Milan, Inter, Juve nelle loro case, che sono importanti, ma Firenze… Vi dico, ho sempre pensato ‘Come sarebbe bello giocare per la Fiorentina’. Una città, una squadra. Ambiente bello, caldo, passionale, lo apprezzavi davvero tanto da avversario. Torno all’Albania per dire che secondo me è una sensazione simile, io lì mi sentivo di rappresentare un popolo intero e Firenze mi dà le stesse emozioni. Vivi, giochi, sudi, corri e lotti per una squadra e hai una città dietro. Io ero un giocatore normale che ha avuto la fortuna di giocare ad alti livelli e sono un allenatore normale che ha la fortuna di poter vivere tante esperienze e so, sapevo di dover dare sempre il massimo, sempre qualcosa in più rispetto agli altri per arrivare e per rimanere. Sono convinto che Firenze ammiri questo tipo di persone. Nel mio immaginario e nei miei ricordi Firenze è questo: un posto speciale, dove se ti impegni, ci metti il cuore e dai l’anima, ti viene riconosciuto, a prescindere dai risultati”.

Ci colpisce la precisione con cui Tramezzani dipinge la Firenze del pallone pur non essendone mai stato parte. Vuol dire che la tifoseria viola è capace di lasciare un segno negli avversari più sensibili.

Così come un segno lo può ancora lasciare questa stagione nella storia viola. Lei che qualche preliminare di Champions ed Europa League lo ha disputato, ci dice come arriva un allenatore esordiente in campo internazionale come Italiano a queste gare da dentro o fuori?

“Quelle musichette ti portano su un altro livello… Se mi permettete, vorrei premettere il mio parere su Italiano”.

Ma certo.

“E badate bene che non lo conosco, quindi quello che vi dico non è sporcato da amicizia o piaggeria. Ha fatto un percorso meraviglioso, l’anno scorso a Firenze è stato straordinario e magari per questo motivo quest’anno ci si aspettava qualcosa in più. Italiano sta crescendo, quest’anno più che mai, perché si è sentito messo in discussione per la prima volta. Lui e la Fiorentina stanno crescendo insieme perché l’Europa è una cosa diversa, le trasferte, giocare ogni tre giorni. Eppure i viola stanno facendo bene in campo internazionale. Questo livello mancava da diversi anni, le difficoltà incontrate e per adesso superate fanno di questa stagione, a mio modo di vedere, la vera stagione di Vincenzo, più della scorsa”.

L’ultima volta che la Fiorentina ha vinto due coppe nella stessa stagione erano gli anni Sessanta (Coppa Italia e Coppa delle Coppe nel 1961, Coppa Italia e Mitropa Cup nel 1966, ndr). Domanda da un milione: può succedere di nuovo quest’anno?

“E’ complicato. La cosa più semplice è l’approdo alla finale di Coppa Italia, che già di per sé è un risultato importante. Poi te la giochi in partita secca. L’Europa poi è difficile, però come dicevo la Fiorentina in Europa gioca spensierata, con meno carico mentale. E poi vincere aiuta a vincere, prendete il Milan ieri: battere il Tottenham in una partita in cui se esci nessuno ti dice nulla può essere un propulsore importante, così la Fiorentina con il Braga che sembrava favorito nel turno precedente. E poi in campionato la classifica è migliorata con le prestazioni, non c’è più il pungolo della zona retrocessione che non era così distante due settimane fa. La vittoria col Milan è stata una prova di forza, e non si dica che il Milan aveva la testa a Londra, i viola hanno meritato in pieno. Non so se vinceranno entrambe le coppe, ma sono pronti per fare un gran finale di stagione”.

Da ex difensore: soggettivo, le piace più Igor, Milenkovic o Quarta? Rispettivamente classe 98, 97 e 96. Su chi punta la sua personalissima fiche?

“Sono tre giocatori diversi, quindi sono contento di poter rispondere in maniera del tutto soggettiva: dico Quarta. E’ il mio preferito, mi piace come difende, come aggredisce e toglie spazio all’attaccante. E’ attento, costruisce da dietro. E poi in lui vedo tanti margini di crescita, per questo scelgo lui”.

Chiudiamo con Cabral, che ha affrontato quando lei allenava il Sion e Arthur guidava l’attacco del Basilea. Dopo più di un anno, finalmente, stiamo vedendo quel Cabral lì?

“Sì, senza dubbio. Su di lui ha pesato molto il paragone con Vlahovic, che a Firenze era una macchina da gol. Non gli ha fatto bene, sono due giocatori diversi, però riconosco che era inevitabile. Ora sto vedendo il giocatore che ho visto nel campionato svizzero e in Europa con la maglia del Basilea. E’ dentro la squadra, partecipe, interagisce coi compagni. Lui in area di rigore è bravissimo. Lì dentro, in quei 16 metri, mi ricorda molto Pippo Inzaghi, le occasioni le ha sempre avute anche quando non le finalizzava”.

Certo, perché poi Cabral ci ha fatto vedere di essere capace anche di gol che il pur scaltrissimo Inzaghi si sognava di notte. Napoli, Braga, la bordata col Monza…

“Infatti io mi riferivo solo agli ultimi 16 metri. Ma Cabral è molto di più, è un giocatore di colpi, e vi dico un’altra cosa: di lui mi ha sempre colpito il controllo e tiro. Riesce a ridurre al minimo il tempo che intercorre tra l’aggancio e la conclusione improvvisa, non ha bisogno di aggiustarsela, il che lo rende letale spalle alla porta, toglie il tempo ai difensori. In questa specifica, secondo me è uno dei migliori al mondo. Come ha uno spazio, si prepara e calcia in un baleno”.

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