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Breve storia del gioco del calcio (4) – Nascono le tattiche: dal Vianema al Catenaccio

Saverio Pestuggia

Come previsto da Pozzo il sistema puro che si fondava molto sull'agonismo e la forza atletica dei calciatori non si adattava perfettamente al calcio italiano nel quale si cominciarono ad apportare correzioni e adattamenti. Il precursore fu il tecnico della squadra dei Vigili del Fuoco di La Spezia, Barbieri, che vinse nel 1944 un Campionato di guerra non riconosciuto ufficialmente. Barbieri, che conosceva bene in Sistema avendo militato nel Genoa, adottò il “mezzo sistema”, un ibrido fra metodo e sistema. Uno schema simile fu adottato nella 1946/47 anche dal Modena che arrivò secondo, dietro all’imbattibile Torino. Nel frattempo un giovane tecnico si faceva notare nella Triestina: si chiamava Nereo Rocco e pensò di sottrarre un uomo all’attacco e rafforzare la difesa. Erano i primi tentativi di tatticismo nel gioco del calcio fortemente sostenuti dal direttore della Gazzetta dello Sport Gianni Brera.

Arriviamo quindi al Vianema, la variante più famosa e geniale del sistema, rimasta legata al nome del suo ideatore Gipo Viani che riuscì a portare nella massima serie la Salernitana. Viani mise in atto un accorgimento semplice ed efficace schierando con il numero 9 Alberto Piccinini (padre del giornalista sportivo) che aveva caratteristiche difensive. Questi, al fischio d’inizio, retrocedeva e andava a controllare il centravanti avversario, liberando così dall’incarico il centromediano Ivo Buzzegoli che si spostava alle spalle di tutti, per accorrere ovunque si aprisse una falla. La Salernitana riusciva anche ad attaccare soprattutto con il gioco sulle fasce ma era chiaro che il Vianema era la prima vera tattica difensiva che avrebbe portato anni dopo al Catenaccio. L'ispirazione a Viani era stata data dal tecnico austriaco Karl Rappan che aveva fatto giocare la Svizzera nei Mondiali del 1938 con il Verrou.

La prima grande squadra che applicò la tattica difensiva fu l’Inter allenata da Foni che vinse due scudetti consecutivi, nel 1953 e nel 1954. Con la protezione mediatica di Brera, Foni arretrò l’ala destra Armano, che in fase difensiva prendeva il posto del terzino Blason, il quale a sua volta retrocedeva alle spalle degli altri difensori. Una volta in possesso di palla, l’Inter ripristinava le posizioni originarie e in tal modo rendeva più impenetrabile la difesa, ma non penalizzava l’attacco.  Come abbiamo scritto nella terza puntata anche Bernardini con la Fiorentina faceva retrocedere (ma meno) l'ala sinistra Prini e dava al mediano

 L'Inter campione d'Italia nel 1962/63 (wikipedia)

L'Inter campione d'Italia nel 1962/63 (wikipedia)

Chiappella compiti difensivi. Ma i veri maestri del catenaccio che portò il calcio italiano a ripetuti successi anche nella Coppa dei Campioni furono Nereo Rocco e Helenio Herrera tecnici di Milan e Inter. Nelle due squadre non esisteva più l'arretramento dell'attaccante e a ruota del mediano, ma dietro alla difesa in pianta stabile stazionava il libero: Armando Picchi nell'Inter e Cesare Maldini nel Milan. Davanti a loro un trio di difensori che marcavano rigorosamente a uomo gli attaccanti avversari, poi un centrocampo un mediano, due mezzali, un ala tornante con funzioni di supporto al centrocampo e le due punte. Con il tempo uno dei terzini, principalmente il sinistro, prese a partecipare maggiormente alle azioni d'attacco e venne chiamato terzino fluidificante. Tra Rocco e HH si intromise nel 63/64 Fuffo Bernardini, ma il modulo era ormai sperimentato, il libero era stato sdoganato e in quel Bologna era rappresentato da Franco Janich.

Il calcio italiano e il suo disprezzato catenaccio non avevano rivali in Europa e nel mondo a livello di squadra di club: il Milan vinse due Coppe dei Campioni, una Coppa Intercontinentale e due Coppe delle Coppe, l'Inter non fu da meno e si aggiudicò due Coppe dei Campioni e due Coppe Intercontinentale. Niente male per un calcio che tutti all'estero, Inghilterra su tutti, disprezzavano.

Questa era la situazione in Europa, ma anche in Sudamerica qualcosa stava cambiando: se da una parte Argentina e Brasile preferivano affidarsi al talento dei loro fuoriclasse , l’Uruguay si era affermato proprio in virtù di una rigorosa organizzazione, che curava soprattutto la fase difensiva adottando una variante chiamata en abanico (“a ventaglio”), che prevedeva il centravanti arretrato. Le due principali squadre brasiliane di Rio, Flamengo e Fluminense adottarono la diagonal che si ispirava al sistema inglese, con terzino e ala che operavano in tandem, spostando poi il gioco sul centro dove il mediano agiva in sintonia con il centravanti, più arretrato nei confronti dei compagni di reparto. Ma il Brasile nel 1958  guidato da Vicente Feola si presentò con tre linee parallele formando il 4-2-4 che può essere considerato l’antecedente di tutte le tattiche moderne: niente marcature ad uomo e ricerca sempre e comunque dell'impostazione di gioco: era l'esatto contrario della tattica all'italiana, Il dualismo pose di fronte in finale le due nazionali ai Mondiali di Messico 1970 e il risultato non fu favorevole all'Italia di Ferruccio Valcareggi che subì un sonoro 1-4 contro Pelé e compagni. L'Italia, che riuscì a pareggiare il contro nel primo tempo con Boninsegna, crollò nella ripresa infiacchita dalla fatica di un Mondiale in altura e dall'interminabile semifinale con la Germania. Erail canto del cigno del catenaccio all'italiana perché all'orizzonte si era già affacciato il calcio totale dell'Olanda di Rinus Michels

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