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Breve storia del gioco del calcio (2) – Dalla Piramide al Metodo

Saverio Pestuggia

C'eravamo lasciati con la prima evoluzione del football (il termine calcio non viene coniato subito) dal "calcia e corri" alla Piramide di Cambridge, ovvero un modulo che prevedeva 2 difensori, 3 mediani e 5 attaccanti con la regola del fuorigioco che prevedeva tre giocatori per mantenere in gioco un attaccante. Questo aveva fatto sì che le difese si organizzassero in modo che uno dei due terzini facesse un passo avanti prima del passaggio per lasciare in fuorigioco almeno uno dei 5 attaccanti. Si narra di difensori che sapessero fare (e bene) solo quello. E tanto bastava per impedire ai forward di andare in gol. Nel 1924, venne introdotto fuorigioco passivo («Non è in fuorigioco il giocatore che non interferisce con un avversario o con il gioco»), ma non servì a cambiare le carte in tavola e allora nel 1925 fu proposto  e attuata nel luglio del 1926 il passaggio da 3 a 2 il numero dei giocatori per tenere in gioco l'attaccante. Questa variazione sortì gli effetti desiderati e il numero di reti aumentò decisamente e determinò un'altra dal punto di vista tattico: l'esigenza di rafforzare la difesa che spinse i tecnici a cambiare qualcosa.

La linea mediana era però diversamente articolata: i due mediani laterali si allargavano sulle due opposte fasce di campo e finivano per controllare direttamente gli attaccanti esterni, cioè le ali che avevano il compito di prendere palla a metà campo andare a fondo campo e crossare per il centravanti. Il mediano centrale, detto “centromediano”, diventava la figura dominante della squadra: aveva infatti il doppio compito di opporsi in prima battuta al centravanti avversario e di far ripartire l'azione con precisi rilanci che mettevano in moto il reparto offensivo nel quale le due mezzali (una più tecnica, l'altra di fatica) avevano arretrato il proprio raggio d'azione rispetto agli altre tre compagni. Il mediano centrale venne indicato anche come ‘centromediano metodista’, ruolo che assommava le funzioni svolte attualmente dal ‘libero’ difensivo e dal regista di centrocampo: insomma  era l”uomo-squadra’.

Questo schema tattico che non prevedeva le marcature ad uomo venne esaltato dalla scuola danubiana, la cui squadra più rappresentativa fu il Wunderteam austriaco, e raggiunse i risultati migliori con l’Italia di Vittorio Pozzo, che proprio grazie al metodo vinse due titoli mondiali consecutivi, nel 1934 e nel 1938, inframmezzati dalla medaglia d’oro ai Giochi Olimpici del 1936. Il gioco era lento e compassato, fatto di continui passaggi fino a quando un attaccante riusciva a smarcarsi in zona gol. Vittorio Pozzo gettò anche il seme del gioco all'italiana potenziando la fase difensiva e adottando spesso l’efficacissima arma offensiva del contropiede, cioè invogliando la squadra avversaria all’attacco in massa, al fine di coglierla sguarnita mediante improvvisi contrattacchi contro cui le difesa avversarie non erano pronte.

Il metodo era il modo di giocare quasi universale e anche i sudamericani negli anni 30 lo avevano adottato con il Brasile che, narrano le cronache, nel 1938 era talmente sicuro di vincere il Mondiale che aveva già prenotato il viaggio verso Parigi prima di giocare contro l'Italia che invece lo beffò proprio con il contropiede.

Solo gli inglesi, come detto all'inizio, restarono su un altro fronte calcistico, quello del Sistema che alla ripresa dei giochi dopo la seconda guerra mondiale sarebbe diventato il modello di gioco vincente. Ma di questo parleremo nella terza puntata della nostra storia.

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