L’ultimo libro, quello che ha messo in valigia per la trasferta di Lisbona, la dice lunga su quali siano in questo momento le priorità di Paulo Sousa. Si chiama Living on the volcano , e tanto per non perdere il vizio parla di calcio, di uomini impegnati nella difficile professione di football manager che non è proprio come in Italia intendiamo la figura dell’allenatore. Sir Alex Ferguson, 24 anni alla guida del Manchester United, ne è stato un esempio perfetto, oppure Arsene Wenger, che dal 1996 è il volto (e il punto di riferimento) dell’Arsenal e che, non a caso, ha scritto la prefazione del libro di Michael Calvin appena finito nella libreria del portoghese.
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Michael Calvin e Phil Jackson: i libri e l’ispirazione di Paulo Sousa
Lo studio, la meditazione e la biografia del Re del basket Nba come fonte di ispirazione
Sono questi, i grandi manager che hanno fatto la storia del calcio, gli uomini a cui l’allenatore che in soli tre mesi ha stregato Firenze, e messo in crisi mezza serie A, si ispira. (...) In fondo è al vertice che Sousa punta sempre, sia quando parla della propria squadra sia quando pensa al suo percorso personale. Per riuscirci sono anni che affina le capacità di gestione della pressione, del gruppo, dei media, che legge e si prepara al grande lavoro psicologico che un «allenatore di uomini» (prima che di calciatori) è chiamato a intraprendere soprattutto su se stesso. Prendere le decisioni velocemente e al momento giusto, è forse questa la qualità migliore che deve avere un coach. Non limitarsi a essere solo un tecnico, ma anche un istruttore, un «capo tribù» come spiega Phil Jackson, nel suo Eleven rings (Undici anelli), l’anima del suc cesso , che per Paulo è stato fonte di grande ispirazione. Già, «Coach Zen» come è chiamato negli Stati Uniti l’allenatore più vincente di sempre nello sport professionistico con i suoi 11 titoli conquistati con i Chicago Bulls e i Los Angeles Lakers. Nel libro Jackson racconta la sua ascesa sportiva nel basket Nba, ma anche come si gestiscono campioni del calibro di Micheal Jordan e Kobe Bryant, “maschi alfa” (così li chiama) negli spogliatoi dove è necessario riconoscere la loro leadership trattando però tutti allo stesso modo, stelle e gregari. Mica facile insomma, anche se l’obiettivo una volta raggiunto può fare la differenza: portare tutti a remare dalla stessa parte e «ad essere altruisti» nel modo di giocare.
Concetti che sembrano perfetti per descrivere anche questa Fiorentina, la cui forza è il gruppo in grado però di esaltare il talento e le qualità dei singoli. Entrare nella testa dei giocatori, insomma, convincerli che il bene del singolo corrisponde a quello comune, trasformare l’obiettivo finale (anche molto ambizioso) in un mezzo per tenere unito e armonioso il gruppo. Per questo il modo di lavorare di Sousa va oltre il campo e gli schemi tattici (anche in questo caso non manca di prendere spunto dal basket che lui stesso ha praticato) che restano comunque importantissimi, così come l’analisi dell’avversario a cui il portoghese dedica molto tempo. Concentrazione, grande meticolosità, ciò che Sousa chiede a se stesso è un lavoro che ha bisogno di tenere sempre alta la tensione. Per questo si ritaglia spazi privati, per staccare, magari ascoltare un po’ di jazz e di blues.
Ma soprattutto per dedicarsi alla meditazione: «È un modo per stimolare l’intuizione — ha raccontato qualche mese fa al quotidiano TagesWoche — crea un momento in cui il nostro cervello non pensa, si riposa e recupera. È quello il momento in cui arrivano le idee che poi possono essere messe in pratica con il lavoro». Che non sempre deve essere fatica e privazioni. Lo sanno bene Borja Valero e compagni che hanno scoperto come anche un allenamento possa diventare divertente. Provate infatti a far correre i giocatori con i compagni sulle spalle, a trasformare il campo in un grande tavolo da calcio-biliardo (pare Pepito sia bravissimo in questa particolare disciplina), oppure a far rappresentare con il corpo le lettere dell’alfabeto tanto per valutare la velocità di esecuzione. Il risultato saranno sicuramente un bel po’ di sorrisi e quel sentirsi parte prima di tutto parte di un grande gruppo. Anzi di un’allegra tribù. Quella di Paulo Sousa.
Ernesto Poesio - Corriere Fiorentino
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