Ormai è diventato un appuntamento imperdibile: l’ultimo elettrico giorno di mercato viola. Perché se è vero che nel calcio di certezze non ce ne sono, l’affanno della Fiorentina a poche ore dal gong è unmust che ricorda le nottate sui libri di quegli studenti impreparati davanti a un esame programmato da mesi. Eppure ieri a Milano si è andati davvero oltre e chi c’era ha assistito a quello che può (e dovrebbe) essere definito come un punto di non ritorno. Qualcosa tipo l’irresistibile dialogo de L’allenatore del pallone tra Oronzo Canà e il presidente Borlotti: «Abbiamo preso 7/8 di Collovati e la metà di Maradona, fra tre anni però». Solo che quello viola non è affatto un film, e meno che mai può essere definito comico. Il turbinare di nomi (prima De Maio, poi Benalouane, poi di nuovo De Maio, quindi Bruno Fernandes e poi Kone, per arrivare a Stendardo subito lasciato andare per tornare su Benalouane) che nemmeno all’estrazione del lotto può anche far sorridere ma ha mostrato il lato più fragile del club viola.
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Quattro moschettieri, senza spada. Alle origini dei tormentoni del mercato viola
L'articolo di Ernesto Poesio sul Corriere Fiorentino che spiega le dinamiche interne alla dirigenza viola
Una cosa, infatti, è certa: la totale confusione degli ultimi giorni (su tutti, il doloroso tormentone Mammana) è soltanto la riproposizione di quanto avvenuto questa estate con i casi Milinkovic-Savic, Salah e naturalmente quello dell’ultimo secondo Joaquin. Ma non solo. Basta ricordare lo scorso gennaio quello che è successo con Neto. E ancora: l’interminabile telenovela Cuadrado iniziata in estate, gli acquisti che si sono rivelati inefficaci di Rosi, Diamanti e Gilardino. Finita qui? Macché. Andando indietro, all’estate del 2013, ecco il gran rifiuto di Berbatov, salito su un aereo per Firenze e sceso a metà strada pur di tornare indietro. Casi clamorosi, entrati nell’immaginario collettivo di ogni tifoso che non possono essere ascritti esclusivamente a inadeguatezze nel lavoro dei dirigenti di mercato. Certo sarebbe facile gettare in pasto alla piazza qualche licenziamento o dimissione più o meno forzata, ma sarebbe soltanto una ricerca di capri espiatori al termine di una campagna acquisti partita bene, ma finita con troppo affanno e improvvisazione. E non per responsabilità esclusive del reparto sportivo.
Per capire di cosa stiamo parlando allora è necessario tornare indietro, alla fine dell’era Corvino (un uomo solo al comando) quando la Fiorentina scelse di suddividere mansioni e responsabilità per quello che fu definito «un lavoro in team, di grande condivisione». Il risultato, organigramma alla mano, è questo: Andrea Rogg, direttore generale, Daniele Pradè, direttore sportivo, Valentino Angeloni, responsabile scouting, Pedro Pereira, international sport director, assistiti dal tecnico Leonardo Limatola (da anni nel club prima nel settore abbonamenti poi destinato ai conti con la qualifica di responsabile budgeting e controllo gestione). Eccoli qui tutti gli attori del mercato viola. Solo che se dovessero essere candidati per un Oscar finirebbero probabilmente nella casella dei «non protagonisti», visto che nessuno di loro ha davvero la possibilità di chiudere definitivamente un’operazione. Già, proprio il contorto meccanismo fatto di telefonate, attese per il sì definitivo, pareri, e continue intermediazioni fra chi opera sul campo e chi coordina le operazioni, ha finito in più di un’occasione per creare un corto circuito. L’ultimo esempio è stato proprio Mammana per non parlare di Milinkovic-Savic con Rogg che avrebbe tranquillamente potuto chiudere la trattativa in Belgio se solo ne avesse avuto il potere.
Talenti italiani, giocatori di «primo livello e uno sforzo per la Champions» (come promise il presidente Mario Cognigni lo scorso 3 gennaio in un’intervista al Corriere Fiorentino ), e un ringiovanimento della rosa. Anche stavolta in casa viola i buoni propositi hanno finito per scontrarsi con la fretta e l’emergenza. E così sono arrivati prestiti che difficilmente saranno riscattati (visti i costi alti fissati), nessun italiano, e il solo Tello come possibile talento per il futuro. Troppo poco per pensare di aver gettato le basi per una Fiorentina da Champions. O almeno in grado di sognarla.
Ernesto Poesio - Corriere Fiorentino
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