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Ancora Baba: “Gli avversari con me ci ‘provano’, ma non abbocco”

"Il più duro? Thiago Silva, una volta non toccai palla". E parla del suo rapporto difficile con la scuola

Redazione VN

Le altre parole di Babacar alla Gazzetta.

RELIGIONE - “Se sei musulmano devi pregare e infatti io prego, cinque volte al giorno: perché è un dovere e per me stesso, se lo fa chi non ha le gambe che diritto avrei io di non farlo? Prego quando me lo consentono gli allenamenti, ma sempre cinque volte, un paio di minuti ogni volta: cosa sono dieci minuti in una giornata? Di solito a casa, altrimenti dove mi trovo, con l'aiuto della app per i musulmani in preghiera che indica la direzione della Mecca”.

SCUOLA - “Ad un certo punto, dovunque mi girassi erano botte. Me le davano i prof perché in Senegal non ci pensano due volte, se non vai a scuola ti picchiano, e io per non prenderle ogni giorno ero arrivato a un bivio: o ci andavo sempre, o non ci andavo mai. Smisi di andare: stavo sempre con un gruppo di ragazzi senza famiglia e senza casa che un sacerdote aiutava a vivere, pensavano tutti che fossi uno di loro e in effetti io mi sentivo uno di loro. Allora me ne diede tante mia mare, l'avevano avvertita che a scuola non mi si vedeva da due mesi. Ho superato l'esame di terza media a Firenze, ma solo Corvino sa quante volte mi ha fatto mangiare in camera per punizione: i tutor del settore giovanile, poverini, ormai conoscevano meglio la strada per accompagnare a scuola me di quella per andare a casa loro”.

MOMENTO BUIO - “La morte di Omar Tourè è stato l'unico momento della mia vita in cui davvero non riuscivo più a vedere la luce. Con il calcio non mi è mai successo. Alla Fiorentina con Mihajlovic non giocavo quasi mai: avevo le mie colpe, l'ho detto, però ormai l'etichetta era quella, 'Babacar è svogliato', e non c'era verso di fargli cambiare idea. A me fece coraggio il diesse del Modena, Beppe Cannella: 'Il soprannome di Baba ti porta male, segni poco: noi ti chiameremo Billy'.

AVVERSARI - “Mai stato espulso e di non solito non abbocco alle provocazioni, anche se i difensori avversari ci provano: loro 'cercano' me per distrarmi, io continuo a cercare solo la porta. L'avversario i tutti i giorni è Ricardo Bagadur, io lo chiamo il re e a fare a sportellate con lui mi diverto perché è uno tosto. Ma il più duro in assoluto è stato Thiago Silva, una partita contro di lui fu un incubo: provai cento movimenti diversi ma ogni volta me lo ritrovavo lì con la faccia che mi diceva: 'E tu dove pensi di andare?'. Non mi fece toccare un pallone”.

AMICI - “Piango ancora oggi per la morte di Omar. Quel pomeriggio, mentre lo cercavo senza trovarlo perché l'avevano già seppellito la mattina, io ricordo di aver provato un dolore che un ragazzino di 11 anni non crede di poter sopportare, piangevo senza riuscire a smettere. Ancora oggi non riesco a guardare la mamma di Omar Tourè senza che mi vengano le lacrime agli occhi e non riesco a entrare in quella casa dove andavo tutti i giorni”.

SOCIAL - “Li uso tutti, non sono schiavo di nessuno. Mi collego solo quando mi va, una o due volte al giorno, non sempre per scrivere qualcosa. Il giorno che dovessi accorgermi di preferire il pc o lo smartphone a una bella chiaccherata guardandosi negli occhi mi cancellerei da tutto, ma so che non succederà”.

SCHERZI - “Se fai in continuazione scherzi a tutti, poi devi aspettartene. Ero andato al supermercato per comprare il latte e tornando a casa, nel buio della sera, sento alle spalle qualcuno che maneggia qualcosa di metallico. Era un semplice alambicco, a me sembrò il rumore di una spada tirata fuori dal fodero: mollai lì il latte e le ciabatte che avevo ai piedi e cominciai a correre fortissimo, così tanto che arrivato al cancello di casa mi si impigliò sul lucchetto la maglietta, che si strappò tutta: 'Mi vogliono ucciere!', gridai sfondando quasi la porta: io stavo per collassare e quelli ridevano tutti come matti”.