di Filippo Angelo Porta
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De Sisti a VN: “Questa Fiorentina giovane come la mia ma con valori differenti. E guai a vendere Chiesa!”
Lo storico capitano viola dell’ultimo scudetto (1968-1969) racconta, in esclusiva a Violanews.com, le analogie fra la sua Fiorentina e quella attuale: tra storie, aneddoti e curiosità.
Giancarlo De Sisti, soprannominato Picchio dai tifosi (“trottola” in dialetto romano), ha di che dire e raccontare. Una vita intera dedicata al pallone, prima da giocatore e poi da dirigente e allenatore. Ma, soprattutto, un vero e proprio modello. Non solo per i trofei vinti (lo scudetto con la Fiorentina e l’Europeo con la Nazionale sicuramente i più importanti), ma anche – e soprattutto – per il suo comportamento in campo. Mai sopra le righe, sempre corretto ed educato sia confronti dei compagni sia nei confronti degli avversari. Qualità da vero leader, che nel tempo gli hanno permesso di indossare la fascia da capitano nella grande Fiorentina di fine anni ‘60. Una squadra giovane e talentuosa, passata alla storia come “Fiorentina ye-ye”. La fascia è stata una gioia, certo, ma anche una responsabilità. E lui, davanti a questa, non si è mai sottratto.
Salve, Giancarlo. Lei ha giocato, e vinto, in una Fiorentina molto giovane. Vede delle analogie con quella attuale?
“Sì, ma solo per la giovane età, infatti i valori tecnici sono molto differenti. La mia Fiorentina è nata dall’arguzia e dalla capacità dei dirigenti ed allenatori di quegli anni di saper scovare i giovani più forti in circolazione. Il presidente Baglini, dopo aver prelevato il club nel ’65, intraprese una vera e propria politica di ringiovanimento della rosa. E l’estate seguente arrivai io, acquistato dalla Roma in grande crisi economica. Ti ho aggiunto questo particolare delle difficoltà economiche del club giallorosso, perché allora i giocatori erano considerati patrimonio delle società. Dunque, non era facile strapparli alle rispettive squadre. Ma, oltre al presidente, c’erano altre figure di spicco come l’allora responsabile del settore giovanile, Pandolfini, e il direttore sportivo, Montanari. Con l’allenatore Chiappella fecero davvero un ottimo lavoro. Anche perché in quegli anni alla Fiorentina arrivò gente del calibro di Merlo, Chiarugi, Ferrante, Esposito, Brugnera (ceduto però con Albertosi in cambio di Francesco Rizzo prima della stagione dello scudetto, ndr), Amarildo e Maraschi. Col tempo, sono riusciti a creare una squadra fortissima. E poi, quell’anno (1968-1969) fu davvero incredibile”.
Ce lo racconta?
“L’allenatore, Pesaola, era riuscito a creare il clima perfetto. Tutti noi credevamo nelle nostre capacità ed eravamo convinti di poter fare bene. E infatti a fine anno vincemmo lo storico scudetto. Per me, quello fu uno dei periodi più belli della mia vita. Nel ’67 nacque la mia prima figlia e nell’estate del ‘68 vinsi gli Europei con la Nazionale”.
Alla vittoria dello scudetto da parte della Fiorentina di fine anni ‘60, si aggiungono le storiche vittorie del Cagliari, del Verona e, più recentemente, della Sampdoria. Secondo lei, assisteremo di nuovo ad eventi simili?
“Sarebbe bellissimo, ma nel calcio moderno è quasi impossibile. Guarda la Juventus: non solo ha lo stadio di proprietà, non solo vince da 7 anni consecutivi, ma quest’estate ha anche acquistato uno dei giocatori più forti al mondo. Come fai a competere con corazzate di questo tipo? Però, sono anche convinto che i soldi nel calcio non siano tutto. L’organizzazione, la mentalità e l’impegno fanno sempre la differenza. Inoltre, per squadre come la Fiorentina, sarebbe importante non vendere sempre i migliori”.
Si riferisce a Chiesa?
“Sì, parlo di lui. Se vuoi iniziare un ciclo vincente, devi puntare su giocatori di questo tipo. Altrimenti, tutto diventa più difficile. Quindi, mi auguro che la società viola non lo venda, anche se non sarà semplice”.
Le piace l’allenatore Pioli?
“Sì, è un bravissimo tecnico. È uno che non lascia niente al caso: prepara le partite con grande competenza. Inoltre, è un tipo sanguigno, nel senso che vive le situazioni con grande empatia. Mi piace molto”.
Secondo lei, in cosa è più cambiato il calcio attuale rispetto al suo?
“Ti rispondo partendo dal mio punto di vista: io ho sempre guardato ai valori. I soldi, certo, fanno felici tutti, ma quando finiscono, se non hai altro, rimani vuoto. Io ho sempre cercato di dare l’esempio in campo e fuori. Sono stato squalificato una sola volta, per aver protestato su una decisione arbitrale con un compagno, mentre mi dirigevo negli spogliatoi. La sfortuna volle che il guardalinee mi sentisse. Questo, non per vantarmi, ma per raccontarti il mio pensiero, il mio modo di vivere il calcio e la vita. E quando l’allora presidente della Federcalcio, Abete, nel 2009, mi affidò il progetto di raccontare i valori dello sport nelle scuole, è stato un momento bellissimo. Essere riconosciuti come modelli, e poter parlare della propria carriera ai ragazzi, è qualcosa di indescrivibile”.
Il suo trofeo, sportivo, più bello?
“Il ricordo che la gente ha di me. Non c’è niente di più bello che lasciare un buon ricordo alle persone ed essere riconosciuti per ciò che si è fatto”.
E il suo trofeo nella vita?
“La mia famiglia: mia moglie, che mi sopporta da più di 50 anni, i miei 3 figli e i miei 6 nipoti. Sono il bene più prezioso”.
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