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Impossibile nascondere, oggi, la testa come fossimo struzzi: è crisi. Autentica e in tutte le strutture viola. Dal tecnico alla società, fino ai singoli calciatori. Per una volta l’unica cosa che funziona è la comunicazione. Intesa come iniziative, presenza dove c’è la storia viola. Ma tutto il resto è da paura. Autentica.
Ci torna alla mente l’anno dell’addio di Prandelli. Con la Fiorentina che si interroga: «Ciclo chiuso o ciclo aperto?». Decise che il ciclo era ancora aperto, si affidò al giovane Mihajlovic e sono stati due anni prima grigi e poi nero notte. Oggi la stessa domanda. La Fiorentina portoghese è «deceduta» a gennaio con Sousa depresso quanto il mercato dei Della Valle? E’ presto per dirlo, ma ora i dubbi sono legittimi. E poi, Sousa è ancora quello del girone di andata o si è spento con gennaio, le uova, le omelette e il quinto posto.
Non basta sottoporsi a una serie infinita di selfie, come non basta alla società essere finalmente attiva e presente alle commemorazioni del passato. Non sappiamo se cambiare oggi Sousa possa servire a rivitalizzare l’ambiente, però non siamo neppure così sicuri che Paulo abbia in mano la squadra.
Eccoci al tema più delicato: la Fiorentina è ancora coesa strettamente oppure si sta disfacendo? A guardarla con Roma e Milan ci era apparso di sì, con Torino e Atalanta assolutamente no. Come sempre saranno i prossimi match a far pendere le convinzioni da una o l’altra parte. Slovan, Cagliari, Crotone spiegheranno di più. Però Firenze deve mettere tutto in preventivo, anche la necessità di ricorrere a una scossa generale dell’intero ambiente e a provare a cambiare dove è possibile cambiare, limitarsi alle dichiarazioni ottimistiche non basta.
Che tutto questo sia di monito a tutti, per primi ai Della Valle, pensare di essere più furbi degli altri è la peggiore delle convinzioni. Rimane tristissimo e pericoloso pensare di poter far festa con i fichi secchi.
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