Cecchi Gori che accusa i Della Valle («la Fiorentina l’hanno avuta gratis») e promette soldi da donare alla Fiorentina anche se, come quelli della fantomatica banca colombiana, probabilmente non arriveranno mai. Alessio Sundas che, tra un casting a modelle scovate in provincia e qualche guaio giudiziario, lancia appelli e si propone di mettere insieme una cordata per acquistare la società viola. Striscioni ovunque che invitano la proprietà a passare la mano, mentre gli altri club guardano con cupidigia alla rosa di giocatori, aspettando che la situazione si faccia ancora più insostenibile e che la svendita abbia inizio. Gli imprenditori fiorentini che, interpellati da giornali e radio in qualità di potenziali messia, si dicono tifosi, assicurano che «se fosse per il cuore...», ma poi declinano gentilmente anche solo la prospettiva di sedersi sulla poltrona più bollente del Franchi. E poi naturalmente l’immarcescibile Eugenio Giani che nel frattempo è diventato presidente del Consiglio Regionale e che si propone come naturale mediatore fra il club e tifosi. Manca insomma solo il giudice Puliga e il sindaco revisore Bandettini (che per la verità sono stati condannati con sentenza definitiva nell’inchiesta di Genova sui fallimenti pilotati) e il déjà vu può essere completo.
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Tutto cambia, poco è cambiato. E tornano le facce di 15 anni fa
D'un tratto sembri di essere tornati a quindici anni fa. L'analisi del Corriere Fiorentino
Perché l’improvviso annuncio dei Della Valle deve aver avuto l’effetto di un teletrasporto, catapultando la Firenze calcistica direttamente all’estate del 2002, quella del fallimento e della ricostituzione (a furor di popolo allora) sotto il nome di Florentia Viola. Diego Della Valle ha scoperchiato il pentolone. E ciò che emerge è una Firenze che pare cristallizzata. (...) Nulla sembra cambiato se non che allora il nemico del popolo era Cecchi Gori, il patron caduto in disgrazia e destinato a esilio perenne tanto da dover partecipare quasi in incognito ai funerali della madre nella chiesa di San Miniato, che oggi campeggia trionfante sui profili social di smemorati tifosi mentre la sorte inversa sembra in procinto di toccare ai fratelli Tod’s (...).
Cecchi Gori si arenò sul centro sportivo, doveva sorgere a Firenze Sud a «Villa i Cedri», nell’ex area Enel. Una specie di rilancio disperato quello di Vittorio, nato e defunto giusto il tempo di qualche articolo sui giornali o di un paio di servizi mandati in onda dalla televisione di famiglia. I Della Valle sono invece finiti nel buco nero della questione stadio, che ha finito per consumare tutti, a partire dalla fiducia, quella tra loro e la città. Ritorno al passato, dunque. E chissà che Pioli non si senta un po’ come Eugenio Fascetti, che fu spedito con la squadra nell’improbabile ritiro di Roncegno e con Peppe Pavone (pugliese, guarda le coincidenze, come Corvino) come unico referente societario.
(...) Oggi è invece la stessa piazza ad aver fornito il pretesto perfetto ai Della Valle per farsi da parte e mettere in vendita la società. Il risultato però non cambia molto. E l’incertezza è tornata a impadronirsi del futuro viola, tra ricerche di possibili acquirenti e speranze che a mettere gli occhi sulla Fiorentina sia, guarda caso, un grande magnate pronto a investire milioni come fossero noccioline. Proprio ciò che si chiedeva a Diego e Andrea Della Valle quindici anni fa. Oppure a Cecchi Gori nel 1990. Oppure ai Pontello all’inizio degli anni Ottanta. Tutti accolti con il tappeto rosso e salutati tra insulti e pomodori. Avanti il prossimo, ma serve coraggio.
Ernesto Poesio - Corriere Fiorentino
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