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Tanto Rossi, poco Narciso

PER RICONOSCERLO dai mille Rossi del pianeta calcio, viste le frequentazioni spagnole nel Villarreal, lo hanno chiamato «Pepito» ma sembra un sacrilegio. I campioni non hanno nomi da panino con …

Redazione VN

PER RICONOSCERLO dai mille Rossi del pianeta calcio, viste le frequentazioni spagnole nel Villarreal, lo hanno chiamato «Pepito» ma sembra un sacrilegio. I campioni non hanno nomi da panino con la braciolina (il «pepito de ternera») o da romanzo con Don Camillo (Pepito Sbazzeguti è il nome col quale si cela Peppone per vincere al Totocalcio). E dunque meglio Jo Red, come lo chiamavano a Manchester. In fondo la sua è una storia che rimanda più al sogno americano che non alla sonnolenza da siesta iberica.

Giuseppe Rossi, il nuovo campione viola destinato a infiammare il Franchi, è infatti nipote di quell’Italia partita sui bastimenti e scesa nei porti del Mondo a cercare fortuna e vita. Figlio di un abruzzese e di una molisana, è nato nel New Jersey, terra più consona alla ruvidezza di una mazza da baseball che non alla carezza di un dribbling. Ma il sangue non mente nemmeno a distanza. E un italiano nel dna ha l’istinto di rincorrere una palla mica di bastonare una pallina, che diamine!

CERTO, come Odisseo, Marcel Proust, l’Uomo Ragno e Leopardi, «Pepito» Rossi fa parte della categoria dei campioni con sofferenza. Di quelli che sanno come l’unico posto dove la parola «successo» viene prima di «sudore» è il dizionario. Nel caso, la sua sofferenza è iniziata nell’ottobre del 2011, quando, giocando contro il Real Madrid, il ginocchio destro gli si è sbriciolato. Da lì un’odissea infinita fatta di ricadute e operazioni (tre) che potevano portarlo per sempre lontano dal calcio e dai suoi sogni traditi di campione (il Barcellona stava per acquistarlo per 35 milioni prima di preferirgli Sanchez). «Quando cade la tristezza / in fondo al cuore / come la neve non fa rumore», avrebbe cantato Battisti. Per questo quando lunedì scorso, dopo 700 giorni di buio, è riuscito di nuovo a gonfiare la rete con un suo gol, la tristezza-neve che portava negli occhi è stata sciolta dall’applauso caldo e liberatorio che il «Franchi» ha tributato al suo nuovo bomber bomboniera. Momenti belli.

E A PROPOSITO di bomber in miniatura. La Fiorentina ne ha conosciuti di varie categorie. L’indemoniato alla Marco Nappi. Il nove light alla Ezio Sella. Il martellatore alla Desolati. A quale categoria appartenga Giuseppe Rossi, lo ha dimostrato lui stesso col Catania. Quando, libero davanti al portiere, invece di fare doppietta ha regalato la palla a Gomez per lasciargli il privilegio del gol. E poco importa che Marione l’abbia sbatacchiata sul palo come un Dertycia bavarese: quel gesto racconta la pasta del campione altruista non accecato dall’ego. Il ragazzo-bomber che pensa al calcio come al coro del Nabucco e non all’urlo del soprano, il senso dello spogliatoio che va oltre lo stagno di Narciso. Peccato solo non abbia fatto in tempo a spiegarlo a Ljajic. Ma questa è un’altra storia che prima o poi andrà raccontata.

Stefano Cecchi - La Nazione