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Stadio, dal progetto alla fine dei lavori: in Italia il fast è una chimera. L’approfondimento

Anche chi già può contare su un nuovo impianto ha dovuto aspettare non poco per avere tutti i permessi

Redazione VN

"Dal progetto alla fine dei lavori: in Italia il fast è una chimera": è il titolo dell'approfondimento del Corriere Fiorentino che analizza i casi di Juventus, Udinese, Sassuolo e Atalanta.

Juventus - L'impianto della Juve ha una vicenda lunga 13 anni: tanto passa dalla richiesta del club bianconero di prendere in gestione il Delle Alpi, per abbatterlo e ricostruirlo, datata 1998, all’inaugurazione dello Stadium del 2011. Servono infatti quattro anni, durante i quali la società arriva a minacciare di lasciare Torino (un po’ come Commisso a Firenze), per giungere all’accordo del 2002 col Comune, che concede alla Juve il diritto di superficie sul vecchio stadio per 99 anni.

Udinese - Il patron Giampaolo Pozzo è riuscito nell’impresa di rifare tre quarti (tribuna distinti e curve) del vecchio Friuli, senza quasi mai chiudere lo stadio alle partite. L’iter comincia nel 2010, quando Pozzo stringe col Comune un accordo per un affitto ridotto sullo stadio, accollandosi la manutenzione e alcune opere piccole di miglioria (piscina, ristoranti, spogliatoi), compensate in conto affitto e realizzate entro il 2013. Deve aspettare due anni, però, per il bando di gara che gli assegna l’impianto. E un anno ancora per il passaggio di proprietà. I lavori partono meno di tre mesi dopo la firma dal notaio. Due anni e mezzo dopo viene inaugurata la Dacia Arena.

Sassuolo - Il caso emiliano fa storia a sé: lo stadio del Giglio, inaugurato nel 1995, è il primo vero stadio privato d’Italia. Così, quando nel 2014 il Sassuolo compra l’impianto all’asta fallimentare dell’ormai defunta Reggiana, non deve chiedere autorizzazioni di alcun tipo per ammodernarlo.

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