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Sousa più Sarri: scalata e rivincita dei gemelli diversi

Due tecnici divisi da stile e fisico, ma uniti dai trionfi. E lo scetticismo di Firenze e Napoli è già dimenticato

Redazione VN

Correva l’anno 1995: la Juventus si ritrova a celebrare il suo 23° tricolore, Paulo Sousa è lì con i suoi capelli lunghi e un sorriso da pubblicità per dentifricio; più o meno negli stessi giorni a Cavriglia (provincia di Arezzo) c’è un’altra festa, lontana non solo per chilometri. Maurizio Sarri è portato in trionfo con i suoi occhiali, la sigaretta tra le dita e la barba incolta: ha guidato la squadra alla vittoria del campionato di Prima categoria. Sono passati più di 20 anni e quei mondi distanti come il giorno e la notte si sono ritrovati a fare la rivoluzione della Serie A. Paulo Sousa e Maurizio Sarri: accolti con scetticismo, contestati e presi in giro. Firenze e Napoli, già pronte a sbranarli al primo errore, ora si godono i loro condottieri (così diversi e prossimi alla prima sfida incrociata) e questa vendemmia d’ottobre con un vino pregiato, dal profumo di scudetto e Champions.

COSI’ DIVERSI Certo, Sousa e Sarri sembrano provenire da pianeti diversi. Il primo potrebbe reggere l’impatto di una copertina per Vogue uomo : elegante, coi bicipiti a guizzare dalla maglietta durante le conferenze stampa, con il grigio sui capelli (corti) stile Richard Gere e la possibilità di scegliere la risposta tra 4 lingue (portoghese, inglese, italiano e spagnolo). Il secondo non potrebbe ispirare le copertine di riviste patinate, al massimo sarebbe perfetto come testimonial per le grande catene di negozi sportivi vista la sua predilezione a indossare la tuta, ma la sua risalita verso l’Olimpo del calcio italiano è una favola dal lieto fine, fatta di sudore, un lavoro sicuro (in banca) lasciato per inseguire una passione (il calcio), tanta scaramanzia (è nato a Napoli) e un eloquio forbito e tagliente tipico dei toscani (è cresciuto a Figline Valdarno). Sousa è stato un centrocampista di successo, Sarri al massimo giocava con gli amici. Eppure da allenatori hanno dovuto affrontare le stesse diffidenze, superate a botte di successi.

IL FILO ROSSO Sousa e Sarri ci provano ancora e la vittoria dell’uno non preclude quella dell’altro: lo scudetto è una parola quasi proibita e proprio per questo non costa nulla provarci. In fondo Firenze a giugno si era ritrovata orfana, dopo il divorzio doloroso con l’amato Vincenzo Montella capace di tenere i viola in alto, ma senza andare oltre il quarto posto. E Napoli si era illusa di poter ritrovare con Benitez un trionfo in Europa, sbattendo il muso in Ucraina e dovendo «accontentarsi» di una Supercoppa, seguito della Coppa Italia, ma finendo in campionato dietro la Fiorentina. Sousa e Sarri in panchina non sono poi così diversi. Anzi, finiscono per assomigliarsi molto. Entrambi sono maniacali, due veri martelli. Di Sousa si dice che al Basilea pretendesse dai giocatori un passaggio in sede anche nel giorno libero, una specie di obbligo di firma. Sarri è capace di far ripetere all’infinito gli schemi, mettendo in conto di far notte sul campo se i giocatori non li hanno assimilati. Entrambi custodiscono un libricino con tutte le soluzioni da adottare su palla inattiva, magari Sarri lo tiene sul comodino vicino a un racconto di Bukowski (suo scrittore preferito). Nel frattempo Firenze e Napoli si sono svegliate in un lunedì d’autunno con un primo posto in solitaria e un 4-0 rifilato a domicilio al Milan. Chi l’avrebbe mai detto nel 1995?

La Gazzetta dello Sport