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Se una storia d’amore non vale la fine di una soap opera

JoJo e Baggio, situazioni a confronto. L’articolo di David Guetta (COMM.)

Redazione VN

«Ma lo devo scrivere sui muri che mai e poi mai andò alla Juve», disse a pochi cronisti Roberto Baggio nel marzo del 1990. Non lo scrisse, e forse proprio per questo andò alla fine a Torino, provocando la più forte ribellione popolare in oltre ottanta anni di storia viola. Stevan Jovetic, che per inciso ha più o meno la stessa età dell'allora partente «Baggino», è sempre stato molto più prudente. Lui non parla quasi mai, preferendo esprimersi con i mal di pancia che di volta in volta gli vengono attribuiti o con eloquenti silenzi. In pratica non esterna in conferenza stampa da oltre un anno. Ogni tanto esce una frase di Ramadani, buttata lì per vedere l'effetto che fa, ma Jovetic niente. Sempre un po' imbronciato, quasi avesse fatto un piacere a rimanere negli ultimi dodici mesi a Firenze, un po' come se dicesse ad Andrea Della Valle che lo bloccò a Moena nello scorso agosto: «Ti ho dato retta, sono restato anche contro la mia volontà, ora però basta, me ne vado».

Quale sia la destinazione di arrivo è perfino banale chiederselo, dal momento che «preferisce l'Italia» e che da queste parti c'è una sola squadra pronta ad affrontare la non indifferente spesa per portarselo a casa. Se quello di Baggio è stata una travolgente e passionale storia d'amore, l'addio di Jovetic è ha il sapore stantio di una soap opera col finale già scritto e che appassiona pochissimo i tifosi. Col passare dei mesi, col moltiplicarsi dei piccoli infortuni e dei «vediamo» del montenegrino, si è passati dalla netta presa di posizione («che vada pure via, ma mai alla Juve») al teorema Felipe Melo.

Si tratta della fondata ipotesi di farsi dare trenta milioni da Andrea Agnelli, per il brasiliano furono venticinque, in cambio di un giocatore che deluderà le attese. Una mezza bufala, insomma, e basterà ricordare a questo proposito l'insopprimibile soddisfazione con cui da Firenze veniva seguita l'entusiasmante involuzione juventina di Melo, a cui Dio in persona aveva consigliato quattro anni fa il trasferimento torinese. Jovetic si accontenta più modestamente del molto interessato Ramadani. Lui è molto più bravo del suo ex compagno (ma anche molto più fragile fisicamente), e può anche darsi che allo Juventus Stadium diventi un campione a tutto tondo (pare gli vogliano dare il 10 di Del Piero), però non si rende bene conto di quello che ha sprecato a Firenze.

I suoi ultimi stizziti dodici mesi in viola, accompagnati tra l'altro con un rendimento complessivo da minimo sindacale, hanno scavato un solco incolmabile tra lui e l'anima calcistica della città. Il fatto che se ne vada è stato digerito senza problemi da quasi tutti e l'unica attuale preoccupazione è solo la contropartita della sua cessione. Un brutto modo di lasciarsi, una fine di rapporto segnata dall'indifferenza, dopo il più che promettente flirt iniziale, i grandi gol in Champions, il grave infortunio del 2010 e l'affetto continuo con cui era stato seguito il suo faticoso recupero. E anche in questo c'era un'analogia con Baggio, ma poi, cessione della Juve a parte, ci si ferma qui. Perché la passione dei tifosi è un sentimento che merita rispetto e che soprattutto deve essere coltivato giorno dopo giorno.

David Guetta - Corriere Fiorentino