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Se la curva è implacabile con il fiorentino in viola

Da Orlandini a Flachi: storie di rapporti non proprio idilliaci

Redazione VN

Firenze non è Roma, che coccola i propri figli calcistici migliori e poi combatte per non farli partire. Da queste parti l'innamoramento negli ultimi quaranta anni c'è stato solo per tre ragazzi nati rispettivamente a Marsciano, in Umbria, a Caldogno, nel Veneto, e a Reconquista, in Argentina. E i pochi fiorentini che hanno vestito la maglia viola hanno avuto due grandi vantaggi rispetto ad Emiliano Viviano (su cui sono arrivate critiche troppo feroci): provenivano quasi tutti dal vivaio viola, e non avevano quindi sulle spalle un cartellino che costasse 7,5 milioni di euro, e non erano così estroversi come il portiere viola. Uno che non si sottrae al confronto, che è maturato presto perché a 16 anni se ne è andato di casa per approdare al Brescia e che, con sommo dispetto dei suoi detrattori, non si è minimamente pentito per essere riuscito a vestire dopo molti tentativi la maglia più amata.

Chi ha preceduto Viviano in questa esperienza aveva poi una caratura tecnica inferiore, salvo qualche rara eccezione come Maurilio Prini, il tornante delle Sieci inventato tatticamente da Bernardini nello straordinario campionato del primo scudetto. O Andrea Orlandini, detto «Birillo», più fiorentino dei fiorentini, perché nato a San Frediano e però così poco incline alle polemiche da diventare nel finale di carriera un padre nobile dello spogliatoio. Per nessuno c'è stato il veleno letto e scritto nelle ultime settimane. Solo Francesco Flachi ha avuto qualche problema, ma più che altro per una gestione poco felice delle sue ultime annate fiorentine. Definito ragazzo prodigio fin dai tempi dell'Isolotto, quando dodicenne venne pagato quasi cento milioni di lire, ebbe un inizio scoppiettante per poi faticare intorno ai 22 anni nell'inevitabile crisi di crescita. Il fatto era che aveva davanti Batistuta, Edmundo ed Oliveira, non esattamente i giocatori più semplici da scavalcare per conquistare una maglia da titolare. Per il «ragazzo che gioca bene» però si sentivano al massimo dei brusii in tribuna e qualche scuotimento di testa, della serie «ma quando maturerà mai questo qui?». Lo si è visto dopo alla Sampdoria, dove Flachi è diventato un idolo e dove i tifosi ancora lo venerano, tanto da sobbarcarsi il viaggio Genova-Firenze solo per andare a trovarlo nel suo locale al Ponterosso.

In un altro caso il pubblico viola ha addirittura aiutato un fiorentino ad imporsi nel grande calcio. Stiamo parlando di Alessio Tendi, non proprio un fine dicitore dell'arte del pallone, che veniva sempre spinto dalla Fiesole (e lui proprio a Fiesole era nato...) col grido poco elegante, ma significativo di «picchia per noi Alessio Tendi». L'interessato eseguiva alla perfezione, nel tripudio generale e per fortuna le telecamere negli anni Settanta non erano così invasive come oggi.

Una critica così «cattiva» l'ha avuta solo un altro toscano di nascita e fiorentino di adozione, Luciano Chiarugi da Ponsacco, già bambino nel N.a.g.c. (Nucleo addestramento giovani calciatori) viola. La maggioranza dei tifosi lo adorava, ma un'importante minoranza proprio non lo sopportava, arrivando a forme di contestazioni quasi autolesionistiche. C'erano i chiarugiani e gli anti-chiarugiani, un derby davvero strano finito quando il venticinquenne Luciano, ormai sfinito, passò nel 1972 al Milan.

David Guetta - Corriere Fiorentino