Quella che segue è una storia nata tra confusione, violenza e contraddizioni. Troppe. Una giornata di (ordinaria) follia, iniziata presto e finita tardissimo, quando attorno all’Olimpico non restava che silenzio. Soltanto qualche sirena. Un paio di ambulanze, macchine della polizia che corrono veloci su viali deserti. In terra una distesa di vetri, qualche transenna caduta. Perché Roma, sabato sera, è stato il set di un film imbarazzante. (...)
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Quel patto segreto degli ultras rivali
I retroscena di una notte di follia.
Fino all’ora di pranzo (più o meno) tutto era filato liscio. Era la quiete (apparente) prima della tempesta. Nel frattempo ad Attigliano (in un autogrill sull’A1), i primi scontri. Niente di grave, dicono. E poi ancora. Quattro interventi della Digos, nel tardo pomeriggio, per evitare contatti tra le due tifoserie. Cariche, scontri, una deprimente ordinaria amministrazione. Il peggio, doveva ancora venire. Succede tutto, ovviamente, quando si sparge la notizia nello sparo. Da quel momento è il caos. Ognuno ha la sua versione, tutti cercano notizie e nessuno capisce cosa sia realmente accaduto. Soprattutto tra i fiorentini. Perché loro, la stragrande maggioranza di loro, sono stati solo spettatori. Già, non tutti semplici spettatori: perché in realtà qualcuno ha avuto un ruolo diverso. La voce si era sparsa già nella tarda serata di sabato, e ieri sono piovute conferme. Una delegazione di ultras viola, mentre sul prato dell’Olimpico andava in scena il desolante show di Genny ‘a Carogna, si è incontrata con gli altri capi del tifo napoletano. Il faccia a faccia (testimoniato da riprese Mediaset) è andato in scena dietro la Tribuna Monte Mario, dicono molti alla presenza della Digos. Eppure, secondo la questura di Roma, non c’è stata alcuna trattativa con le tifoserie.
Ma cos’è successo? E chi ha voluto questo “vertice”? Alcuni sostengono sia stato richiesto dai tifosi del Napoli, per chiedere al “nemico” di condividere il loro sentimento di rispetto verso il compagno ferito. Altri, invece, dicono che a chiedere il confronto sia stata la Digos stessa, per spiegare alle due tifoserie cosa fosse realmente accaduto e (soprattutto) per convincere i napoletani che la tragedia non aveva «matrice viola». Ricostruzione strana, visto che quasi tutti (nella curva del Napoli) sapevano che Ciro Esposito (il ragazzo colpito dal proiettile) era rimasto coinvolto in uno scontro con un noto ultras romanista. In quella riunione “segreta”, comunque, è stato stretto “il patto del non tifo”. Si poteva giocare, ma senza tifare. Perché gli ultras (che si odiano, e si menano) hanno un loro codice comune. Tornati in Curva Sud, i capi della tifoseria della Fiorentina, hanno ordinato agli altri di togliere tutto. Striscioni, bandiere, sciarpe. Nulla doveva sventolare, nessuno doveva cantare. Alcuni hanno obbedito (quelli più caldi) tanti altri no. È stato, quello, uno dei momenti più difficili. Tensione, spinte, urla, minacce. (...)
Perché dopo qualche minuto di silenzio assoluto, la gente ha iniziato a cantare. Ma c’è un altro capitolo che merita di essere raccontato, e che riporta a quegli infiniti 45 minuti: dalle 21 fino al fischio d’inizio, quando nessuno capiva cosa stesse succedendo. Ecco perché Pradè, Macia e Guerini (invitati dagli addetti all’ordine pubblico) sono andati sotto la Sud a parlare con i tifosi viola per spiegare lo stato dell’arte. Portare la calma, raccontare i fatti, assicurando che il tifoso (gravemente ferito) non era morto. Eppure qualche ragazzo della curva sostiene che gli stessi dirigenti abbiano invitato a tifare moderatamente. In realtà, il “patto del non tifo”, era già stato stretto. (...)
la Repubblica
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