PARLA MOLTO bene l’italiano, grazie agli anni vissuti tra Juventus, Inter e Parma. Chi lo ha conosciuto nella veste tecnica, è convinto che sia uno che si fa ben volere dalla squadra, che sa tenere in pugno lo spogliatoio e che adatta la sua filosofia di gioco, pragmatica, al potenziale a disposizione. Paulo Sousa, adesso, è atteso dalla sfida più grande: convincere Firenze e, soprattutto, alimentare la scia di successi iniziata quasi quattro anni fa. Cinque i trofei sollevati in questo limitato arco temporale, quasi sempre in realtà molto diverse l’una dall’altra.
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Pressing e contropiede I viola voltano pagina
PARLA MOLTO bene l’italiano, grazie agli anni vissuti tra Juventus, Inter e Parma. Chi lo ha conosciuto nella veste tecnica, è convinto che sia uno che si fa ben volere …
PRIMA c’è stato il periodo dell’apprendistato, come assistente di Scolari sulla panchina della nazionale portoghese, poi ha cominciato dall’Inghilterra, tra Qpr, Swansea e Leicester City, passando da esoneri ad auto-licenziamenti. Ha cominciato a vincere in Ungheria, col Videoton: due coppe di lega e altrettante supercoppe, quindi lo scudetto col Maccabi Tel Aviv, in Israele. Un anno fa, ha scommesso sul Basilea e non ha fallito: primo posto in campionato con dodici punti di vantaggio sulla seconda in classifica e “doblete” sfiorato, nella finale di Coppa di Svizzera persa contro il Sion. Se Montella si basava molto sul possesso palla, Sousa ha dimostrato di prediligere un gioco incentrato sull’attesa e caratterizzato da un pressing alto per poter recuperare il pallone e ferire in contropiede. A dire il vero non ha uno schema di riferimento, ha spesso optato per il 4-3-3 senza tuttavia disdegnare il 4-5-1. Ha dato prova di essere un allenatore eclettico che, in sintonia con quella che era la sua materia preferita a scuola, la matematica, coi numeri, nel rettangolo verde, ha sempre puntato a giocarci, anche per non dare punti di riferimento.
AMA CURARE la fase difensiva: per lui la manovra più efficace è quella che comincia dal reparto arretrato per tagliare il campo ed arrivare nell’area piccola avversaria. In Svizzera, al di là della celerità con cui il Basilea ha già inaugurato il nuovo corso - ieri è stato presentato l’erede del portoghese in panchina, Urs Fischer -, il suo addio non è passato sotto silenzio. Piccate le parole del presidente Heusler che ha raccontato le motivazioni della rescissione: «Ha detto che non era più contento qui: è stato un brutto segnale». Non ha mai avuto l’opinione pubblica dalla sua parte, nonostante le vittorie (24 in campionato, più, due in Champions League, nella fase a gironi): la difficoltà nel parlare tedesco (nonostante un anno, da calciatore, col Borussia, con cui ha vinto la seconda Champions consecutiva), non è mai stata digerita dagli elvetici. E pure nelle ore concitate dell’addio, tutti, questo neo, l’hanno rimarcato con velenosità. Adesso, anche per Sousa, il cielo è solo viola. Tocca a lui tingerlo d’entusiasmo.
Francesca Bandinelli - La Nazione
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