Chissà se adesso qualcuno verrà a dire che bisogna guardare il bicchiere mezzo pieno e che in giro c´è troppa ingratitudine. Chissà se adesso qualcuno avrà capito che, senza voler esagerare coi toni e le drammatizzazioni, lo 0-5 con la Juve rappresenta comunque una vergogna e uno dei punti più bassi mai vissuti dalla Fiorentina e dalla sua gente. Il fatto che Firenze abbia dimostrato di esserci ancora per la sua squadra rende ancora più amaro il tradimento. E in fondo lo stupido gesto di Alessio Cerci rappresenta l´egoismo che regna in quello spogliatoio, la poca passione, quel terribile ognuno per sé (esistono eccezioni, ovvio) che ha portato a un disfatta tecnica ed esistenziale. Ma andando oltre l´analisi di una notte che tutti vorremmo dimenticare (il problema è come riuscirci) restano due cose urgenti da fare.
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Parodia di una squadra. L’articolo di B. Ferrara
Chissà se adesso qualcuno verrà a dire che bisogna guardare il bicchiere mezzo pieno e che in giro c´è troppa ingratitudine. Chissà se adesso qualcuno avrà capito che, senza voler …
La prima: salvarsi. E quindi con uno sforzo comune evitare una ulteriore e definitiva degenerazione. Sia chiaro: la Fiorentina del disonore non potrà mai riabilitarsi davanti agli occhi di questa città. Ma lo spirito pratico impone unità di intenti. Poi però chiediamo un piacere a chi di dovere. Perché ora serve un atto di grande umiltà. Chiedere scusa va pure bene. Ma se è chiaro che la disfatta di sabato notte non è figlia di generici errori di valutazione. Sono due anni di gestione egotica e approssimativa ad aver distrutto un patrimonio tecnico e umano, trasformando la Fiorentina in una parodia di una squadra di pallone. Con un po´ di demagogia ci piacerebbe chiedere che questa squadra da qui alla fine eviti di indossare la maglia viola. Ma ci limitiamo a sperare che una umiliazione che equivale a una ferita profonda almeno serva per fare una vera rivoluzione. Il cambio di diesse è un passo importante. Può diventare decisivo se a questo segue un profondo cambio di mentalità.
Benedetto Ferrara - La Repubblica
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