TREDICI minuti furono fatali per la morte di Riccardo Magherini e valgono la condanna dei tre carabinieri per omicidio colposo. E’ questa in estrema sintesi la motivazione delle condanne a carico di Vincenzo Corni (8 mesi), Stefano Castellano e Agostino Della Porta (sette mesi). Sono occorse 118 pagine al giudice Barbara Bilosi per ricostruire la tragica notte del 3 marzo 2014 quando l’ex calciatore perse la vita in una concatenazione di eventi alla quale non mancarono protagonisti e spettatori. Riccardo Magherini, riassume il giudice, morì per una serie di fattori – intossicazione acuta da cocaina («componente preponderante») con conseguente delirio allucinatorio, l’immobilizzazione, la posizione in cui fu tenuto – che concorsero tutti a provocare lo stress catecolaminergico, ma la responsabilità dei tre carabinieri è di aver tenuto una condotta colpevolmente negligente per omissione fra le 1,31 e le 1,44 di quella terribile notte. Perché? Perché, argomenta, il loro intervento fu legittimo e giustificato, perché i due calci ricevuti da Magherini non avrebbero inciso sul decesso, perché non ci furono percosse, ma all’arrivo dell’automedica, trascorsi 15 minuti da quando il 40enne si si era calmato, i militari «avrebbero dovuto chiedersi quali fossero le sue condizioni, a fronte di un silenzio che imponeva, anche attraverso gli operatori del 118, questa valutazione». E, soprattutto, perché «ancora alle 1,34, trascorsi cinque minuti da quando aveva smesso di agitarsi, sarebbe stato possibile intervenire anche in presenza di arresto cardiaco». Secondo il giudice, una condotta diligente avrebbe portato a rivolgere qualche domanda all’arrestato, ad accorgersi della sua perdita di conoscenza e quindi, forse, a rimetterlo supino o seduto, magari senza manette per consentire al 118 di monitorarlo. E’ su questo aspetto tecnico, la gestione di quei minuti cruciali da parte dei carabinieri, che l’avvocato Francesco Maresca annuncia appello.
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Morte Magherini: condannati tre carabinieri per omicidio colposo
Il giudice: "Magherini non si agitava più, dovevano chiedersi perché"
NON TROVANO riscontro però a parere del giudice le ipotesi di percosse e depistaggi, perno delle tesi sostenute dai legali di parte civile: i segni sul corpo furono causati – si legge nelle motivazioni – «dallo sfregamento del volto sull’asfalto, dall’uso di manette, dall’inginocchiamento in terra volontario e ripetuto e dallo sfondamento di due vetrine con il corpo». E sul parallelismo con il caso Aldovrandi suona dura la critica che il giudice rivolge alla strategia processuale delle parti civili «che hanno preteso di assimilare sul piano fattuale e giuridico con assoluta e cieca determinazione situazioni in tutto differenti, alimentando aspettative eccessive nei propri assistiti e, di conseguenza, tensioni del tutto inopportune nei confronti delle forze dell’ordine di cui hanno sostenuto la brutalità di quell’intervento ritenuto causa esclusiva del decesso, avendo essi svalutato qualsiasi altra componente».
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