In Argentina, la loro terra, li chiamavano «gli angeli dalla faccia sporca», definizione bellissima, tra affetto, simpatia, vita di tutti i giorni. Eccoli: Omar Sivori, Valentin Agelillo, Humberto Maschio, il trio della nazionale.
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Maschio, l’«angelo» che stregò i nerazzurri
In Argentina, la loro terra, li chiamavano «gli angeli dalla faccia sporca», definizione bellissima, tra affetto, simpatia, vita di tutti i giorni. Eccoli: Omar Sivori, Valentin Agelillo, Humberto Maschio, il …
Arrivarono a poco a poco in Italia, Maschio al Bologna, all’Atalanta, poi all’Inter e infine alla Fiorentina, con 51 presenze e 12 gol. Veniva dal Racing.
Abbiamo scelto lui in questi quattro passi in Fiorentina-Inter di un tempo, con un perchè molto semplice, questo: segnò due gol con i quali la Fiorentina si mise in pari con i nerazzurri di Herrera dopo le reti di Mario Corso e di Mazzola. Che partita fu, in quel dicembre del ’64? Chi era Maschio? Come giocava? Ne abbiamo parlato con Renato Benaglia, compagno di squadra dell’ «angelo». In una Fiorentina, ha detto subito, nella quale «eravamo amici fraterni». Benaglia è di Valeggio sul Mincio, (c’è un romanzo di Bianciardi), vicino al Lago di Garda. Ama così tanto Firenze che non l’ha mai abbandonata. Il calcio lo vede in televisione, ma la Fiorentina è sempre nel suo cuore. Giocava mediano (57 partiute in vilola, vittoria in Coppa Italia e nella Coppa delle Coppe).
Humberto Maschio guidava la squadra, in mezzo a Orlando, centravanti romano, a Bertini il pratese, e Morrone.
L’allenatore? Chiappella. Nel primo tempo la Fiorentina non vide palla, vide soltanto i due gol, dell’Inter. Nell’intervallo scese negli spogliatoi Egisto Pandolfini, ex viola e amico fraterno di Chiappella e insieme fecero coraggio ai giocatori. La partita cambiò subito, e quei due colpi di Maschio evitarono la sconfitta. Maschio? «Bravissimo giocatore e bravissimo uomo», dice subito Benaglia.
Era l’Inter con Bugatti in porta, Tagnin, Armando Picchi, Peirò, e del duo delle reti nel primo tempo.
Onore a Maschio di Avellaneda, ma anche di Benaglia, che dal Mincio è passato all’Arno, tra nostalgie e nuovi affetti.
Giampiero Masieri - La Nazione
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