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Lo scugnizzo Montella

Viaggio nel paese di Vincenzo Montella, Castello di Cisterna

Redazione VN

Nicola mostra le mani ruvide, orgogliosa conseguenza di una vita di lavoro: trent’anni spesi dentro la Fiat di Pomigliano, stabilimento basso, scuro e silenzioso nella parte industriale del paese, diciotto chilometri dalla stazione centrale di Napoli. E poi la passione della falegnameria «tutto ciò che intorno a noi è fatto con il legno l’ho costruito io, compresa la mia sedia preferita, quella su cui sono seduto. Ma niente, non c’è stato modo di trasmettere la vocazione a Vincenzo. Volevo crescesse falegname, e lui stava sempre col pallone tra i piedi. Una volta gli ho messo in mano gli attrezzi e lui promise: “mo’ e mai più”.

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Il sindaco Clemente Sorrentino è un ex Democrazia Cristiana, ora con Forza Italia. Ha pure un’altra fede, il Napoli: «Vincenzo l’ho visto bambino. Sono ingegnere e il campo su cui è cresciuto l’ho progettato io nel 1979. Mi regalò una tuta della Samp che ancora indosso. Giocava dappertutto, spesso in strada, con gli amici del bar “Rosso e Nero”.

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Nicola Montella è in casa, come Maddalena, Giuseppe e suo figlio Francesco. Sorella, fratello e nipote di Vincenzo. L’altra sorella è Caterina, l’altro fratello, Emanuele, ha giocato a calcio fino a quattordici anni, compagno di squadra di Nicola Caccia, altro dal gol facile, cresciuto a cinquanta metri da qui e oggi nello staff tecnico viola. Attacca Giuseppe: «Tifo Napoli ma se dall’altra parte c’è mio fratello tengo per lui. Diciamo che sabato deve vincere il migliore, anche se alla Fiorentina non conviene poi tanto".

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Ecco Montella, quello che ama le mozzarelle di Antonio, che ci mise faccia e voce «perché chiudere lo stabilimento Fiat di Pomigliano sarebbe devastante», quello che «Napoli e provincia sono la mia terra e ci torno sempre volentieri». Magari con una coppa in più.

La Gazzetta dello Sport