Se da una parte Rocco Commisso ha trovato consensi, dall'altra c'è chi alimenta dubbi e perplessità per l'invettiva del presidente viola, come il direttore di Gazzetta.it Andrea Di Caro. Sulla rosea troviamo un duro editoriale sulle parole e l'atteggiamento preso nelle ultime ore del tycoon italo-americano, che si è adeguato ai comportamenti tipici del calcio italiano:
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L’accusa: “Commisso ha fatto il capopopolo, vorrei idee per migliorarci”
Gazzetta ci va giù dura sullo sfogo del presidente viola
Rocco Commisso è stato accolto dal calcio italiano con rispetto, curiosità, simpatia e stima per le capacità con cui è riuscito a creare un impero. Il suo slang è stato motivo di sorrisi benevoli e affettuosi, mai di sfottò o ironie. Al contrario di altre proprietà straniere si è subito appassionato seguendo squadra e società in prima persona senza negarsi mai a giornali, radio, siti e tifosi. Per questo ci aspetteremmo che aiutasse il calcio italiano a crescere con idee, novità, consigli di business. Quello che invece stiamo vedendo in azione da domenica sembra più un capopolo e l'ennesima copia, folkloristica, di un certo tipo di presidente di cui abbiamo già troppi esempi. Alle proteste contro gli arbitri siamo abituati, ma la sua invettiva nei toni e nella forma è stata talmente esagerata da risultare non credibile. Non si sentivano certe parole dal periodo nero di Calciopoli. L'accusa alla Juve è un refrain che porta sempre credito presso la propria tifoseria, ancor più se acerrima rivale dei bianconeri. L'episodio del rigore del 2-0 resta dubbio, ma non è scandaloso. Dopo lo sfogo a caldo la notte ha peggiorato le cose e Commisso è andato a Coverciano per chiedere rispetto per squadra e città. Se dopo ogni presunto errore tutti parlassero di disgusto e vergogna, lamentandosi col presidente Figc, il calcio diventerebbe un Far West peggiore di quanto non sia già.
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