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Khouma Babacar e l’importanza del destino

Ha il nome che rimanda in parte a quello di un poeta arabo e in parte a un concessionario di Smart. In fondo, nelle sue giocate c’è sia la potenza …

Redazione VN

Ha il nome che rimanda in parte a quello di un poeta arabo e in parte a un concessionario di Smart. In fondo, nelle sue giocate c'è sia la potenza lirica della poesia, sia l'agilità di una mini vettura da città. Ma forse El Khouma Babacar è solo un bel nome esotico per un centravanti. Di quelli di quando i bomber avevano sui polpacci i segni della guerra che ogni domenica andavano a combattere nell'area di rigore avversaria. Suggestioni.

Senegalese di Thes, 191 centimetri di altezza per 89 chili di stazza, il Baba è una sorta di mettittutto d'ebano che ha sempre stregato chi lo allenava. «Mi ricorda Weah», disse Alberto Bollini, suo mister ai tempi della Primavera. «Da un punto di vista calcistico ha prospettive illimitate», aggiunse Cesare Prandelli. Con queste referenze, quando cominciò a 16 anni ad affacciarsi sull'erba del «Franchi», i tifosi viola iniziarono inconsciamente ad aspettarsi da lui la giocata illimitata alla Weah, dimenticando che quello era solo un diamante adolescente da sgrezzare. Da qui le delusioni iniziali che lo hanno portato a compiere un viaggio in seconda classe sui campi della B. Che peró, fra tackle, spinte e nocchini verbali dei tecnici (Novellino in questo è premio Oscar alla carriera) gli ha fatto bene. Oggi, nelle movenze da felino brunito di El Khouma, intuisci netta l'esaltazione del calcio impuro e pazzo degli africani, che da sempre più che uno schema paiono seguire l'istinto della savana. Babacar, un predatore dell'area di rigore, capace di leggenda e di sciagura. Di trionfo e di sberleffo.

Certo, quando quest'estate si presentò in ritiro a Moena, come Chatwin sembrò dire: che ci faccio io qui? Davanti a lui la muraglia tecnica di Pepito e SuperMario gli oscurava ogni prospettiva di campo. Invece il destino ha voluto diversamente. E' già in questo scampolo iniziale d'autunno, con i due super bomber in mutua, è toccato a lui il compito di guidare l'attacco viola. Un compito assolto con l'innocente sfrontatezza dei suoi 21 anni. «Ha tirato più lui in porta domenica col Torino di quanto non abbia fatto Gomez in un campionato», ha annotato perfidamente qualcuno dopo la gara coi granata coronata da una rete. Una provocazione, certo. Ma in quei 90 minuti di sudore e sgomitate, in quel gol benedetto per tempismo e velocità, ci sono i segni beneaugurali di un'irruenza positiva. Di una freschezza d'orizzonte. Babacar, un numero 9 che, nella nerezza della sua africanità senegalese (ovvero di un Brasile succedaneo) zampilla fantasia e ferocia in un furore sacro che solo la gioventù sa consegnare. Un bomber potenziale che potrebbe lasciare tracce imponenti del suo passaggio in viola. Basta ricordarsi che è ancora molto da sgrezzare. Basta lasciargli il tempo di sbagliare. Saprà farlo la solitamente frettolosa Firenze?

Stefano Cecchi - La Nazione