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Jovetic cancella l’estate delle tentazioni

Contro la sua ‘spasimante’ corre, incita i compagni e sfiora il gol

Redazione VN

Adesso, probabilmente, ha capito. Dicono che in quei tormentati giorni d’estate Stevan lo chiedesse spesso. «Ma è davvero così grave se vado alla Juve?» Gli hanno raccontato di Baggio, di quanto quella ferita sia ancora aperta. Lui ascoltava, ma forse non capiva. Non fino in fondo. Per questo stava zitto. Per non alimentare tensioni e polemiche. Del resto la possibilità c’era. Eccome. Gli avevano pure promesso la 10 di Del Piero. C’è voluta tutta la determinazione di Andrea Della Valle per convincerlo che questa partita doveva giocarla con la maglia viola. Poteva esserci anche lui sotto il diluvio di fischi che ha accolto i bianconeri al momento del riscaldamento. Anzi. Sarebbe stato preso di mira più degli altri. Ma non è così. Ieri sera Jovetic aveva il suo numero otto, e giocava per Firenze. Il suo compagno di nazionale e “fratello maggiore” invece (Vucinic) parte dalla panchina. Una partita complicata, per Stevan. Centravanti in mezzo a gente come Bonucci, Barzagli e Chiellini. Infatti si muove, si allarga, parte da lontano e duetta. A volte con Ljajic, altre con Pasqual. Come quando il terzino cade in area e Tagliavento non fischia. Jovetic s’arrabbia, protesta. Come e più degli altri. Perché su quel dischetto sarebbe andato lui. Rispetto a Parma, è tutta un’altra storia. Sabato il montenegrino era presuntuoso, quasi supponente. Voleva palla e non la mollava più. Con la Juventus no.

Reclama il pallone, ma poi parte cattivo verso la porta dialogando con gli altri. Al suo fianco Ljajic, col quale parla di continuo. Lo incita, lo guida. Dura la vita senza un centravanti accanto. Uno vero, che gli levi di mezzo qualche difensore. Eppure, anche in mezzo all’area, il ragazzo si fa rispettare. La traversa al quarantesimo del primo tempo è roba da bomber di razza. In anticipo sul primo palo respirando la rete, sapendo dove si trova la porta pur senza vederla. Un sussulto per i quarantamila del Franchi, un brivido lungo la schiena di Buffon. Un minuto più tardi tocca a Ljajic presentarsi solo davanti al portierone. E sbaglia. Il tempo di mettersi le mani nei capelli e di abbassare la testa, che arriva Stevan. Un urlo, un applauso. Stevan è anche leader, quando vuole. Si sacrifica pure, ma non troppo. Del resto sfiancare con compiti di copertura il tuo miglior giocatore sarebbe un errore. Montella lo sa, e si accontenta di poco.

A rincorrere ci pensano Romulo, Cuadrado, Borja Valero e compagnia. Gli avversari lo temono, e lo rispettano. Sanno che sfidarlo nell’uno contro uno è pericoloso. Molto pericoloso. Del resto lo hanno detto e ripetuto. Lo avrebbero voluto volentieri. Magari ci riproveranno, anche perché secondo Mencucci «non esiste una clausola anti Juve». Per ora però, anche contro i bianconeri, se lo gode Firenze. Che lo applaude quando lascia il posto a Toni.

Matteo Magrini - La Repubblica