Sul Corriere Fiorentino troviamo un'intervista esclusiva a Babacar, realizzata da Ernesto Poesio. Ecco i passi principali.
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“Io Babacar, ora divento grande”
La promessa dell'attaccante al Corriere Fiorentino: "Può essere l'anno della mia svolta, ci credo. Kalinic è un grande attaccante"
Babacar come sta?
«Adesso bene. Ho lavorato molto sulla forza e sul potenziamento muscolare perché dovevo smaltire l’infortunio della scorsa stagione. Posso dire che sono un nuovo Baba».
Però ha iniziato in panchina. Come l’arrivo di Kalinic?
«Con un benvenuto. È un grande giocatore. Siamo tutti qui per aiutare la Fiorentina a vincere. Quindi non importa chi gioca. E poi sapevo sarebbe arrivato un altro attaccante».
Guardandolo giocare, Kalinic, dà l’impressione di essere perfetto per il gioco di Sousa. Lo sta studiando?
«Sì, ma anche io so giocare così. Comunque lo ammiro molto, speriamo di fare un grande campionato. Sono rimasto per questo, non ho mai pensato di andare via». (…)
Lei ha avuto grandi allenatori: per Prandelli aveva «prospettive illimitate», Mihajilovic le tirava le orecchie, Montella le dava qualche scappellotto. Con Sousa come va?
«A lui bastano le parole e le battute. Oggi per esempio ho saltato fuori tempo su un colpo di testa. “Togliti quei pesi che hai sui piedi”, mi ha detto. Aveva ragione».
Sembra molto diverso da Montella che era più silenzioso in panchina. Sousa invece pare un martello…
«(ride, ndr ) Ehhhh, lui urla a tutti e undici i giocatori. Sudo già a stare in panchina…».
Chi gioca vicino a lui insomma è fritto…
«Mamma mia, quei poveri terzini. Meno male che io gioco davanti, così sto più lontano!».
A parte gli scherzi deve essere stato quasi un choc...
«Beh, all’inizio in effetti è stato difficile. Con tutte quelle urla non ci capivo nulla. Poi ho preso le misure. Non è la prima volta che mi capita però. Anche Novellino era così, anzi lui ti mandava proprio a fare la doccia (ride, ndr ). Alla fine però sono tutte persone che lo stanno facendo per farti crescere e migliorare. Poi ognuno ha il proprio carattere».
Il suo è molto solare, sempre pronto alla risata. Quest’anno però le viene chiesto di diventare uomo anche in campo. Cosa significa lasciare da parte l’essere «solo» un ragazzo?
«Lo so, devo lavorare mentalmente. Avere l’obiettivo di andare sempre più in alto. Se ti alleni bene tutto viene di conseguenza. Può essere l’anno della mia svolta, io ci credo. Devo solo lavorare duro per tutta la stagione».
Significa insomma non pensare ad altro che ad essere professionisti anche quando si è fuori dal campo. Si sente pronto?
«Vero, è così. Ma è il nostro lavoro e dobbiamo imparare a sopportarlo. Il sorriso però no. Non voglio perderlo».
A proposito, lo spogliatoio invece ne ha un po’ di meno. Penso a quello di Joaquin, a Vargas, a Pizarro…
«Sì, è un po’ diverso ora. Quelli che facevano un po’ “casino” sono andati via purtroppo. Mi è dispiaciuto soprattutto per Vargas, un fratello più grande. Lo conosco da sette anni e non è mai cambiato, sempre lo stesso. E nello spogliatoio era sempre allegro. Mi piace quando le persone sono aperte, parlano, fanno battute. Ma anche il Pek era fantastico».
Adesso dovrete ricostruire un po’ questo spirito allora?
«Forse sì, anche se ci pensa Borja a far ridere. I nuovi si devono ancora un po’ integrare, ma sono già a buon punto».
Se n’è andato anche Salah. Lo ha più sentito?
«No, ha fatto la sua scelta e capisco la delusione dei tifosi. Noi continuiamo per la nostra strada…».
Magari quando vi incontrerete sarà uno stimolo in più per fargli capire che ha sbagliato scelta…
«Beh, vorrà dire che gli tirerò i capelli (ride, ndr )».
Di sicuro prenderebbe gli applausi del Franchi… Parliamo di chi è rimasto: Ilicic può diventare una stella di questa squadra?
«Sì. È un grandissimo giocatore. Ora però deve continuare così. Perché non bastano due o tre mesi. Josip sta lavorando veramente tanto, come tutti. Anche perché se con il mister ti fermi (ride, ndr )…».
Parlando di talenti, c’è anche a Diakhaté. È giovanissimo, senegalese come lei, che cosa sente di dirgli?
«Che deve lavorare con umiltà. La strada è lunga, ci sono passato anche io. Non è facile essere a 16 anni in prima squadra. Ti gira tutto intorno, pensi di essere già giocatore ad alti livelli e invece ancora non hai fatto proprio niente».
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