Il Sinisa viola, un generale senza esercito

Due anni dopo indossa ancora i pantaloni a tubino stretti alla caviglia come un tony e al collo s'annoda lo sciarpone della squadra, forse a ricordare la gorgiera medievale di Ivanhoe, forse la pubblicità della Valda. Chissà. Sinisa Mihajlovic, ovvero che il passato che ti ruzzola addosso come un meteorite esausto. Ricordate? A Firenze arrivò portato con convinzione da Corvino (i due erano forse legati dal fatto di non parlare l'italiano come lingua madre) e accompagnato da una fama sinistra di duro politicamente scorretto. Un Ivan Drago capace di spacconate galattiche («Posso fermare un camion in corsa usando solo il piede sinistro», usava dire da calciatore), che si pensava atto a sedare a scapaccioni ogni insofferenza adolescenziale dello spogliatoio: «Io vi spiezzo in due». Firenze, insomma, si convinse in breve di vedere in campo con lui una Fiorentina carrarmato. Quando si accorse che quella formazione rimandava più alla Multipla delle suorine che non a un tank, per la città fu uno choc.

Mihajlovic, ovvero la delusione di chi prende atto di come fra le ipotesi di prepotenza di un allenatore e il carattere di una squadra non c'è per forza proprietà transitiva. Così, nonostante le promesse di leggendari calci in culo a chi si fosse estraniato dalla lotta, per quasi due anni Sinisa mise in scena al «Franchi» uno spettacolo calcistico più adatto al Teatro del Gorinello che non a un Maggio Musicale del pallone. Una deriva sciapa del mazzarrismo, roboante per pretese ma imbelle per risultati. Ora, una cosa va detta in sua difesa: l'organico che il Corvo gli mise a disposizione era un gruppo prosciugato di ogni energia o motivazione nobile. Difficilmente altri avrebbero potuto far meglio (e infatti il sopravvaluto Delio Rossi fece peggio) (...).

Stefano Cecchi - La Nazione