Persino la faccia lo tradisce, piovorna e umbratile, con i lineamenti che paiono scolpiti nella fatica e nell’etica del lavoro. Vincenzo Guerini oltre al pedigree calcistico ha anche i tratti fisiognomici dei mediani per sempre. I quali, e sia detto senza offesa per l’ottimo Oriali, non possono giocare in squadre miliardarie, tantomeno vincere la Coppa del Mondo. Qualcuno lo dica a Ligabue. No. I mediani per sempre son tipi che san coniugare all’infinito il verbo faticare, ma che quasi mai conoscono la gloria del proscenio, abitando nella provincia del successo. Quanti ne ha conosciuti la Fiorentina di faticatori generosi con il gusto di attraversare la vita di corsa. Esposito, che riuscì a vincere uno scudetto scugnizzo; Scala, biondo e inossidabile come un lattoniere finnico; Casagrande, maratoneta col tuffo (quanti rigori che non c’erano ha guadagnato alla causa); Restelli, che ancora oggi draga i campi di calcetto con moto perpetuo; il povero Beatrice, che se n’è andato troppo presto senza una convincente spiegazione. Perchè anche la sorte sembra aver più predilizione nel baciare i fantasisti che non chi ha il 4 scolpito sui polmoni.
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Guerini, mediano per sempre. Oggi si merita un applauso
Persino la faccia lo tradisce, piovorna e umbratile, con i lineamenti che paiono scolpiti nella fatica e nell’etica del lavoro. Vincenzo Guerini oltre al pedigree calcistico ha anche i tratti fisiognomici …
Aveva 22 anni per esempio Guerini, quando la sua storia di mediano sul campo si interruppe bruscamente.
Era stato convocato insieme a Mimmo Caso per un amichevole ad Ascoli della nazionale under 23. Una nevicata negò la partita e fecero ritorno a casa. Il destino non sai mai dietro quale curva della vita si nasconda. Il suo era segnato in una piega dell’autostrada nei pressi di Firenze. Caso se la cavò con il naso rotto. Guerini, invece, rimase con una gamba dentro le lamiere della sua Porsche, rischiò l’amputazione, poi guarì ma non abbastanza per poter correre su un prato di calcio.
Il dolore segna la vita, rende uomini precocemente. Una carriera lunghissima da allenatore quasi sempre di periferia. Poi, dopo sei anni lontano dal calcio, il ritorno a sorpresa a Firenze con la la divisa da club manager.
Uomo di poche parole, quando la follia di Delio Rossi lo ha riscaraventato di colpo in panchina, lui ha fatto l’unica cosa possibile. Ha indossato gli abiti del padre di famiglia e ha cercato il buonsenso. Non rivoluzionando ma rispettando. La vittoria di Lecce (e dunque la salvezza strappata sul campo) in qualche modo gli appartiene.
Oggi al «Franchi», in un pomeriggio più adatto al tedio che al football, quei pochi che saranno sugli spalti probabilmente fischieranno la Fiorentina. Sarebbe bello, però, se in mezzo ai dissensi legittimi, almeno un applauso si alzasse a salutare Guerini. Un applauso a celebrare l’etica della fatica, dedicato a lui (che da domani torna nell’ombra) e a tutti coloro che l’hanno preceduto e che seguiranno. Perchè i mediani per sempre non possono che avere un posto per sempre nel cuore di chi ama questo frammento di vita chiamato calcio.
Stefano Cecchi - La Nazione
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