Un punto fermo. Per tutti noi. E non è retorica, ma molto più semplicemente la vita. La nostra. Perchè lo abbiamo guardato dalla curva, da quella prospettiva folle e lontana che sfugge a qualsiasi logica ma partecipa a qualsiasi emozione. Giancarlo che correva, stoppava, ripartiva e lanciava. I capelli biondi che danzano a ogni cambio di direzione. E il pallone che vola, telecomandato dal suo padrone, ragazzo col sorriso semplice. Antognoni, la grande bellezza del nostro calcio, il protagonista di avventure che non finivano mai.
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Giancarlo Antognoni la grande bellezza del nostro calcio
L’incipit dell’articolo di Benedetto Ferrara
Il capitano. L’unico dieci. Il biondo che diventa grigio ma cambia solo un soffio. Domani lui compie sessant’anni. E in Palazzo Vecchio il vicesindaco Dario Nardella gli consegnerà le chiavi della città nel salone dei Cinquecento. Un giorno importante. Anche se le chiavi del nostro cuore gliele abbiamo consegnate fin da subito, dal giorno in cui Nils Liedholm lo lanciò in campo a Verona. Era il ’72. Applausi e poesia: quello era il ragazzo che giocava guardando le stelle. Se ne accorse l’Italia, se ne accorse Firenze, che aveva trovato nei piedi e nei movimenti dolci e autorevoli di un ragazzo umbro, il sentimento della sua storia e della sua arte. Un nuovo David, un nuovo sogno: Giancarlo Antognoni, creativo, acquistato per poco meno di 500 milioni dall’Asti Ma.Co.Bi, era l’uomo destinato a diventare bandiera. L’ultima. E per questo la più preziosa di sempre.
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