RISUCCEDERÀ anche oggi intorno alle 15. I giocatori sbucheranno dal tunnel e in quel momento, dopo un’estate di letargo, gli altoparlanti faranno esplodere nell’aria le note della Canzone Viola: «Garrisca al vento il labaro...». Fra quei coriandoli di armonia e applausi, chi sarà al «Franchi» non potrà non provare allora un bordone di commozione per il senso forte di appartenenza che quella musica evoca.
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Garrisca al vento la passione viola
RISUCCEDERÀ anche oggi intorno alle 15. I giocatori sbucheranno dal tunnel e in quel momento, dopo un’estate di letargo, gli altoparlanti faranno esplodere nell’aria le note della Canzone Viola: «Garrisca …
DICEVA PASOLINI che il Calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo, e quando ti riscopri a emozionarti irrazionalmente per una marcetta, provando un senso religioso del momento, non puoi che dargli ragione.
Gli inni del Pallone. Il modo con il quale le tifoserie consolidano con la musica la loro adesione a una squadra, una bandiera, un luogo. Un amico, tornando dall’Olimpico quindici giorni fa, s’era quasi rammaricato: «Certo che l’inno della Roma di Venditti alla fine fa venire i brividi...». Quasi a dire che quello viola è roba da provincialotti. Una marcetta ammuffita buona solo per gli anni ’20, quando venne composta. Che solenne bischerata.
PERCHÉ GLI INNI, tutti gli inni, non si misurano sulla qualità della melodia ma per ciò che riescono a evocare. Non fosse così, quale motivo logico potrebbe giustificare che il Paese di Verdi e Puccini abbia come melodia nazionale uno zumpapapa mieloso della coppia apicellata Novaro-Mameli?
ANALOGAMENTE, non c’è spartito di Mozart e Beethoven (figurarsi Venditti) che possa pareggiare ciò che per i cuori viola evocano le strofe che Narciso Parigi rimusicò sul finire degli anni ’50: Hamrin che sulla fascia sfugge all’avversario leggero e veloce come un Uccellino (lo chiamarono così per questo); Sarti che non si tuffa mai perché tanto sa prima dove arriva la palla; Galdiolo che quando salta gareggia in altezza con la torre di Maratona; Antognoni che segna di testa alla Juve e il tuono di gioia si sente fino a Pontassieve; Baggio che sul campo ricama dribbling e Batistuta che invece sbrana le reti con la ferocia di un Re Leone.
OGNUNO DI LORO (e mille altri ancora) è infatti entrato in campo per mano alle note della Canzone Viola, in una ritualità che, col tempo, è diventata una rappresentazione sacra. Una messa cantata da celebrare con religiosità sportiva. Non a caso, quando i Pontello anni addietro vollero cambiare l’inno, proponendo una canzoncina più adatta a una convention dell’Herbalife che non a uno stadio, ai fiorentini sembrò un’eresia. Roba da mandare gli autori al rogo come dei savonarola sportivi.
PER QUESTO anche oggi quando Narciso Parigi intonerà di labari viola e di campi della sfida e del valore, chi sarà sugli spalti avrà un brivido forte, sentendosi parte di un popolo e non di un pubblico. L’aderente a una confraternita sportiva e non uno spettatore pagante. Ricchi e poveri, ventenni e sessantenni, colti e sprovveduti: tutti accomunati dalla certezza che. quando per passione si sfondano le pareti dell’emozione, la vita diventa una palla di Natale, un fuoco d’artificio. Qualcosa di colorato e pirotecnico, insomma, per il quale è bello essere presenti. E chi non salta vendittiano è!
Stefano Cecchi - La Nazione
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